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Mondo digitale

Politica del dato europea e regolazione delle Big Tech

Se la Rete si mangia il lavoro
Foto: Il lavoro si trova sui social network (foto da webmasterpoint.org)
Antonio Nicita
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L'obiettivo esplicito delle norme varate dalla Ue è quello di ridisegnare e bilanciare le dinamiche concorrenziali dell'ecosistema digitale, prendendo atto del “potere economico” delle grandi piattaforme. E' il primo passo verso un quadro legislativo "sistemico"

Il pacchetto di riforme Digital Services Act e Digital Market Act presentato a dicembre dalla Commissione muove un passo deciso verso la regolazione ex-ante, pur ribadendone la complementarietà con l’intervento antitrust ex-post, del quale pure viene rafforzato il presidio sanzionatorio. L’obiettivo esplicito è, infatti, quello di ridisegnare e bilanciare le dinamiche concorrenziali che si manifestano nell’ecosistema digitale, prendendo atto del “potere economico” che le grandi piattaforme esercitano sui diversi versanti dei mercati intermediati. La pervasiva novità, rispetto a regole settoriali e pro-consumer del passato, consiste nella centralità della profilazione dei dati e della selezione algoritmica nel determinare, da un lato, l’effettiva libertà di entrata di concorrenti e dall’altro la libertà di scelta dei consumatori, in gran parte delle transazioni digitali.

Due grandi filoni
La regolazione proposta agisce su due grandi linee: una orizzontale e simmetrica (che riguarda il trattamento dei ‘contenuti illegali’ diffusi online) e l’altra, di tipo asimmetrico, rivolta alle grandi piattaforme globali online, per le quali il concetto tradizionale di ‘dominanza’, su determinati mercati rilevanti, viene ora ridefinito in termini di “insostituibilità” per l’accesso a più mercati da esse intermediati, grazie al ruolo di ‘gatekeeper’ o di guardiani dei mercati sui quali disciplinano le condizioni di partecipazione. Qui si compie un fondamentale passaggio dalla tradizionale regolazione settoriale ad una di tipo sistemico, nella quale è proprio il modello di business, e la sua dimensione globale, a meritare un particolare scrutinio nell’interesse di imprese e consumatori. Per scongiurare il rischio di inibire processi d’innovazione, il pacchetto UE coniuga regole e principi generali, affiancando ad una ‘lista’ di comportamenti vietati, la flessibilità dell’analisi caso per caso. Sotto questo profilo, l’approccio seguito oggi appare sufficientemente equilibrato e aperto al confronto, proprio sul tema dirimente dell’impatto sull’innovazione. D’altra parte, su quei comportamenti di mercato che sono già stati studiati e contestati in sede antitrust in precedenti casi (Google, Apple, Amazon) – dal self-preferencing ai vincoli di esclusiva contrattuale e di bundlinganti-concorrenziale, dal rifiuto ingiustificato di condividere alcune tipologie di dati a quello di consentire forme avanzate di interoperabilità e portabilità dei dati e così via – le analisi appaionomature al punto da permettere oggi il salto da un esclusivo trattamento ex-post (antitrust) al campo della disciplina ex-ante (regolazione).

La centralità dell'algoritmo
Il punto di frontiera, forse il più innovativo, riguarda la centralità dell’algoritmo e dello spazio informativo nel quale il consumatore esprime la sua doppia libertà: nella scelta dei contenuti e del grado di esposizione della propria attenzione alla esposizione dei propri dati e alla selezione ‘passiva’ operata dall’algoritmo. Uno dei pilastri del Digital Services Act europeo che sarà lanciato nel mese di dicembre riguarda il contrasto delle piattaforme digitali ai cosiddetti ‘contenuti illegali’.  Questa complessa tematica si articola lungo due direzioni, peraltro intrecciate: la natura del contenuto da un lato, la dimensione della piattaforma dall’altro. La tensione tra queste due direzioni riguarda la scelta di un approccio (e dunque di forme di tutela) orizzontale, per tutte le piattaforme che abbiano determinati requisiti, rispetto ad un approccio effect-based che punti quindi a contrastare a diffusione massiva di determinati contenuti su vasta scala. 

Certezza giuridica
Il tema è tutt’altro che banale in quanto poi la stessa definizione di ‘contenuto illegale’, e la certezza giuridica della stessa e de suo grado di enforcement, variano in funzione del tipo di contenuto: dal copyright all’hatespeech, dal cyberbullismo alla disinformazione, da contenuti violenti all’online adveritising ingannevole.
Qui, Dunque, il regolatore europeo potrebbe limitarsi a sanzionare eventuali inadempienze rispetto a codici di condotta volontari. In questo caso l’elemento nuovo risiederebbe nella forte imposizione di trasparenza in merito all’uso dei dati e al funzionamento degli algoritmi, anche in relazione all’applicazione dei codici di regolamentazione. In Italia, l’indagine conoscitiva sui big data di Antitrust, Agcom e Garante Privacy, aveva concluso che in assenza di strumenti efficaci di monitoraggio, audit e inspection su dati e algoritmi, e in genere su meccanismi di intelligenza artificiale applicati alla moderazione dei contenuti, l’autoregolamentazione appariva fortemente insoddisfacente e discriminatoria negli esiti.

Ci vuole un linguaggio comune
Ma c’è anche un altro pezzo della storia che riguarda le modalità di selezione inconsapevole, perché algoritmica, di contenuti da parte dei singoli utenti, il loro grado di comprensione dei filtri e la loro stessa capacità di scegliere da sé il filtro informativo cui sono esposti. Oggi l’Europa deve parlare un linguaggio comune sui temi della sfida digitale nel lungo raggio che va dalle reti infrastrutturali alla regolazione delle procedure delle interazioni online (e non dei contenuti di per sé), riscrivendo anche le nuove forme di co-regolazione possibili, con forme di trasparenza rafforzata e di audit da parte di soggetti istituzionali terzi e indipendenti, mettendo al centro una ‘politica del dato’ volta a definire il contenuto della nostra cittadinanza digitale. Sarà proprio questo lo spazio che garantirà un dialogo proficuo, innanzitutto con l’amministrazione Biden, su quali forme di regolazione e co-regolazione del capitalismo digitale possano rafforzare concorrenza, partecipazione democratica e sicurezza cibernetica.