La proposta di Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa al miglioramento delle condizioni di lavoro mediante piattaforme digitali mira a introdurre una regolazione ad hoc per il lavoro su piattaforma svolto nell’Unione europea. La proposta rimette sotto i riflettori un segmento della forza lavoro (chiamato per molto tempo «gig workers») che sembrava marginale nel mercato del lavoro, mentre oggi sempre di più rappresenta il segno dei cambiamenti che stanno investendo l’organizzazione del lavoro all’interno dei nuovi modelli d’impresa altamente digitalizzati.

Uno spaccato del mondo del lavoro che non riguarda solo – senza alcuna diminutio – i ciclofattorini (riders), ma milioni di lavoratori che operano ormai in diversi settori economici, con professionalità e livelli disparati e con schemi organizzativi difformi. La riforma, infatti, secondo le stime della Commissione europea, consentirà, attraverso un meccanismo di presunzioni, il passaggio all’area del lavoro subordinato (e quindi l’accesso alle tutele «di base») a una quota compresa tra 1,72 e 4,1 milioni di persone, cioè a circa un sesto degli operatori tramite piattaforma attualmente impegnati nell’Ue.

Il lavoro mediante piattaforme digitali, stravolgendo l’organizzazione del lavoro, ha infatti introdotto anche nuovi rischi sociali causati dalla mancanza di tutele minime che sono alla base di un rapporto di lavoro che possa essere definito dignitoso. Il modello di business molto spesso infatti si basa su un vantaggio competitivo ottenuto mettendo sotto pressione il costo del lavoro, con condizioni di lavoro precarie e senza diritti. La Direttiva Piattaforme può essere considerata innovativa, perché pone all’attenzione la qualificazione del rapporto di lavoro tramite piattaforma all’interno di una cornice più ampia, che inserisce la gestione algoritmica degli stessi rapporti di lavoro. Il testo, infatti, si riferisce strategicamente alla corretta determinazione della situazione occupazionale, insistendo sulla trasparenza, l’equità e la responsabilità nella gestione algoritmica, prendendo atto del fatto che i sistemi decisionali e di monitoraggio automatizzati basati su algoritmi stanno sostituendo man mano funzioni quali l’assegnazione dei compiti e delle istruzioni, la valutazione del lavoro e l’imposizione di sanzioni. In questo quadro, la digitalizzazione costringe dunque da un lato a individuare nuovi diritti della persona e dall’altro a declinare in maniera diversa stessi diritti già in capo ai lavoratori in situ, al fine di garantire la tutela della dignità della persona che lavora e l’accesso ai diritti applicabili in materia di lavoro e protezione sociale.

Emerge chiaramente la volontà di garantire un’equa gestione algoritmica per tutti i lavoratori, qualunque sia la forma di lavoro e ovunque questo venga esercitato, secondo un approccio che unisce. La definizione larga data dall’art.2.1 n. 3 cita infatti: ogni «persona che esegue un lavoro con piattaforma» (a prescindere dall’employment status). È il riferimento ai veri lavoratori autonomi e alle altre persone che svolgono un lavoro tramite piattaforma e che non hanno un rapporto di lavoro subordinato, anche al fine di combattere il lavoro autonomo fittizio (con la previsione di una presunzione relativa di subordinazione); è il tema, anche, della gestione transfrontaliera del lavoro su piattaforma.

Siamo nel campo di applicazione soggettivo della direttiva, che si articola su due livelli di tutela, distinguendo coloro che hanno un contratto o rapporto di lavoro subordinato riconosciuto dal diritto nazionale e le persone fisiche che, a prescindere da un vincolo di subordinazione, svolgono un lavoro tramite piattaforma. Qui si inserisce un primo problema rispetto all’ordinamento italiano, storicamente più articolato, che prevede una serie intermedia di forme di lavoro tra le due individuate dalla direttiva, che va dal lavoro parasubordinato, etero-organizzato e autonomo debole, al quale si applicano, in modo graduale, specifiche tutele. Come sempre, nella trattazione di materie così complesse – e innovative – resta la questione dei differenti approcci degli Stati membri al tema dell’autonomia/subordinazione e alla regolazione specifica del lavoro tramite piattaforma e della conseguente complicata armonizzazione. In questo quadro, ad esempio, si inserisce anche la questione definitoria e classificatoria di cosa è la «piattaforma digitale», aspetto su cui è necessaria precisione e chiarezza: la piattaforma, se è impresa, deve essere fatta rientrare, dunque, nella fattispecie del datore di lavoro, con la regolamentazione che ne consegue. 

Proprio sul tema autonomia/subordinazione, un altro aspetto rilevante della direttiva è l’inversione dell’onere della prova che mette nelle condizioni i ricorrenti (i lavoratori) di non essere più loro a dover dimostrare di essere dipendenti, ma sono le aziende a dover dimostrare che non sono lavoratori subordinati, agevolando di fatto chi impugna il contratto per ottenere pieni diritti.

Altro set di analisi della proposta europea attiene alla definizione e tutela di alcuni diritti sostanziali da riconoscere ai lavoratori di piattaforma che restano un vuoto da colmare in maniera appropriata, anche con riferimento alla differenziazione tra lavoro subordinato e autonomo. La seconda parte della proposta di direttiva (articoli 6 e seguenti) introduce, infatti, un innovativo insieme di diritti relativi al cosiddetto management algoritmico. Si tratta, in particolare, di diritti alla trasparenza delle operazioni di controllo ed etichettatura condotte dagli algoritmi e alla trasparenza e certezza dei rapporti di lavoro in corso anche rispetto alle autorità amministrative e agli altri soggetti interessati. Su questo piano sono coinvolte – anche se in maniera ancora insufficiente – le organizzazioni sindacali. Restano invece da definire compiutamente, tra gli altri: il diritto alla disconnessione; la protezione e la governance di dati dei lavoratori e il diritto alla privacy, compresa la portabilità della reputazione digitale (digital reputation); la sorveglianza e il controllo; i diritti individuali e collettivi di informazione e consultazione. Su quest’ultimo tema, ad esempio, così come sulla salute e sicurezza e sugli obblighi in tema di trasparenza, la diversificazione tra lavoratori subordinati e autonomi è netta: è escluso infatti, per i lavoratori autonomi su piattaforma, il monitoraggio umano dai rischi di salute e sicurezza (art. 7, par. 2) e il diritto di informazione e consultazione delle rappresentanze sindacali (art. 9).

Ultimo ma non ultimo, resta anche l’urgenza di incentivare la contrattazione, anche con riferimento all’individuazione di salari e compensi equi, dignitosi e regolarmente corrisposti da prevedere in contratti e tariffari standardizzati; la considerazione di temi quali malattia, ferie, maternità/paternità e accesso ai servizi di previdenza sociale. Dunque, pur nell’innovatività e importanza di questa proposta di direttiva, che va a costruire un intervento regolatorio piuttosto incisivo sul tema, importanti nodi sono ancora da sciogliere, così come una maggiore valorizzazione del ruolo delle rappresentanze sindacali, centrale per garantire tutela e diritti anche a questi lavoratori.