Sulle prime pagine
Corsie preferenziali per vaccinare gli insegnanti. Ne dà notizia il Corriere della Sera che in centro pagina titola “Scuola, la corsa ai vaccini”. Il commissario Figliuolo chiede di accelerare sulle vaccinazioni a professori e a tutto il personale delle scuole e delle università anche in vista di una possibile ripresa dei contagi. Preoccupa infatti la variante delta e c’è allarme per possibili effetti negativi dei grandi eventi sportivi, a partire dalla finalissima di calcio a Wembley, Londra.  In Italia tornano sopra quota mille i contagi. L’altro tema importante che troviamo su tutte le prime pagine è quello della riforma della Giustizia che sta facendo crescere la temperatura interna alla coalizione di governo. Il Movimento a Cinque Stelle minaccia di non votare il testo proposto dalla ministra Cartabia. Il Fatto Quotidiano ci va giù pesante parlando della riforma della Giustizia come il “nuovo Salvaladri”. Draghi e Cartabia, scrive il Fatto, ormai sono come Berlusconi. Gli altri titoli sulle prime pagine sono dedicate al ricordo (lungo tre giorni) della star televisiva Raffaella Carrà e gli europei di calcio in vista della finale di domenica tra Italia e Inghiliterra. Il titolo internazionale più importante riguarda invece l’assassinio del presidente di Haiti, Jovenel Moise (52 anni). La battaglia per l’allargamento dei diritti e in particolare di quelli degli omosessuali cresce in Italia e in Europa. Titolo forte del manifesto: “Angheria”. E’ il gioco di parole con l’Ungheria di Orban che ha varato una legge anti Lgbt, definita vergognosa e discriminatoria dalla presidente della Commissione europea, Ursula Von Der Leyen.  In Italia lo scontro è sul Ddl Zan che andrà in aula al Senato la prossima settimana. Sul sito di Collettiva la posizione della Cgil nelle parole del responsabile dell’ufficio nuovi diritti della Cgil, Sandro Gallittu . Intanto, oltre alla riforma della Giustizia e a quelle del fisco e della pubblica amministrazione, il governo è alle prese con la riforma degli ammortizzatori sociali che devono diventare “universali”, ovvero applicabili a tutti i lavoratori a prescindere dalla loro collocazione nella struttura produttiva. Fosche previsioni dell'Ocse. I posti di lavoro persi con la pandemia si potrranno recuperare solo nel 2023.

Ammortizzatori sociali, il governo cerca le risorse
Servono circa sei miliardi per far decollare nel 2022 la riforma degli ammortizzatori sociali. Un miliardo e mezzo arriverà dalle risorse destinate in un primo tempo a finanziare l'operazione cashback, ora sospesa dal governo Draghi, 4,5 miliardi andranno invece trovati entro la fine dell'anno per inserirli tra le poste della legge di Bilancio. È il quadro emerso ieri durante l'incontro tra il ministro dell'Economia, Daniele Franco, e quello del Lavoro, Andrea Orlando. Ne dà notizia su Repubblica Roberto Mania (a pagina 20). Confermati per la prossima settimana gli incontri del ministro del Lavoro, Andrea Orlando con Confindustria e i sindacati (che il ministro ha già incontrato). L'obiettivo del governo resta approvare la riforma entro luglio. “I nuovi ammortizzatori sociali – scrive Mania - disegnati all'insegna del principio del cosiddetto "universalismo differenziato" (uguali per tutti ma con distinzioni di durata e meccanismi di finanziamento in base al settore produttivo di appartenenza), costeranno di più per la fiscalità generale il primo anno (sei miliardi o poco più), ma poi la spesa comincerà a scendere (circa tre miliardi il secondo anno) fino a una media di due miliardi a regime, cioè al termine del triennio. Questo perché nella fase di avvio il contributo pubblico sarà più alto, per calare nel biennio successivo con la crescita contestuale dell'apporto a carico delle piccole imprese non industriali che oggi (pur avendo usato largamente la Cig Covid) non partecipano a sostenere il sistema.

Gli obiettivi della riforma
A regime – scrive sempre Mania - le risorse pubbliche saranno destinare soprattutto a finanziare la Naspi, cioè l'istituto che interviene a sostegno del reddito di chi ha perso un'occupazione, mentre la cassa integrazione (resteranno quelle ordinaria e straordinaria, sarà invece abolita quella in deroga) assumerà sempre più le caratteristiche di un istituto assicurativo strettamente collegato alle politiche attive per il lavoro, in particolare nella versione che prevede l'erogazione della cassa integrazione contestualmente all'obbligo per il lavoratore di partecipare a corsi di formazione e riqualificazione professionale. La riforma degli ammortizzatori sociali, pur non essendo tra quelle indicate nel Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza), fa parte del pacchetto di interventi considerati comunque necessari per il raggiungimento degli obiettivi del Piano stesso. La riforma punta ad allargare la platea dei beneficiari degli ammortizzatori (non solo il lavoro dipendente, ma anche quello autonomo e con contratti precari) e ad estendere alle mini-imprese (quelle con meno di 5 dipendenti) i meccanismi di finanziamento con aliquote comunque ridotte. Il problema riguarda in particolare la aziende del commercio dal momento che quelle dell'artigianato, pur se di piccolissime dimensioni, partecipano ai fondi bilaterali che erogano anch'essi sostegni al reddito. Franco e Orlando, infine, condividono l'idea che gli ammortizzatori serviranno anche ad accompagnare i prossimi processi di ristrutturazione e digitalizzazione delle micro imprese commerciali, se queste vorranno restare sul mercato accedendo alle piattaforme per la vendita online.

Sugli altri giornali
I temi della riforma degli ammortizzatori sociali anche su altri quotidiani. Sul Sole 24 ore scrivono Giorgio Pogliotti e Claudio Tucci: “Riforma degli ammortizzatori: la dote di partenza è di 8 miliardi” (a pagina 2). Sul Messaggero il pezzo di Giusy Franzese: “Ammortizzatori sociali: si cercano 10 miliardi, mentre l’Ocse prevede un altro anno di crisi” (a pagina 1). Su La Stampa un pezzo non firmato a pagina 22: “Ammortizzatori, cantiere aperto. Orlando a un passo dalla stretta”. Al contrario su Il Giornale c’è molto pessimismo: “La riforma costa tanto, il piano per il welfare divide Orlando e Franco” (Gian Maria De Francesco a pagina 5).

Nuovi posti di lavoro solo nel 2023
Dal Sole 24 ore (Gianluca Di Francesco a pagina 5).  L'occupazione nell'area Ocse tornerà ai livelli pre-Covid dopo il 2022 e, comunque, i posti di lavoro creati non coincideranno del tutto con quelli cancellati dalla pandemia. È l'analisi dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico nel suo Employment Outlook 2021, presentato ieri. La ripresa economica si consolida, ma il mercato del lavoro ha tempi più lunghi. In Italia, secondo l'Ocse, il tasso di occupazione tornerà ai livelli pre-crisi nel terzo trimestre del 2022, prima della media dell'area, in linea con la Francia, ma più tardi della Germania. Nella fase più acuta della crisi, gli strumenti di tutela dell'occupazione (come la cassa integrazione) hanno coinvolto circa 6o milioni di persone nell'Ocse, pari al 20% del totale, salvando fino a 21 milioni di posti. I tecnici dell'Ocse aggiungono che non ci sono elementi per ritenere che il ricorso a questi strumenti (Job Retention Scheme) abbia frenato la creazione di nuovi posti di lavoro. Nei prossimi mesi, secondo l'Ocse, «i sussidi devono continuare a sostenere i settori la cui attività rimane limitata e devono concentrarsi sui posti di lavoro con maggiore probabilità di sopravvivenza». I Job Retention Scheme, aggiunge comunque il report, devono restare una misura temporanea, per gestire l'emergenza. Per creare nuova occupazione occorre invece fare leva su formazione e riqualificazione professionale. Tanto più che la recessione ha accelerato tendenze pre-esistenti, come automazione e digitalizzazione. Secondo i calcoli dell'Ocse, alla fine del 2020 circa 22 milioni di posti di lavoro sono svaniti nei Paesi dell'area, rispetto al 2019. Nel mondo, il conto sale a 114 milioni. A maggio del 2021, il tasso di disoccupazione nell'Ocse era del 6,6%, con 8 milioni di disoccupati in più rispetto al periodo pre-pandemia. La recessione da Covid ha lasciato anche 14 milioni di persone inattive in più. 

Gentiloni: l’Europa punta a sbloccare i licenziamenti
Ne parla Roberto Ciccarelli sul manifesto riportando le dichiarazioni di Paolo Gentiloni, commissario all’Economia per la Ue: “Il ritiro del blocco sui licenziamenti in Italia dal primo luglio va nella direzione auspicata dalla Commissione Europea e fa parte delle politiche che «incoraggiamo a livello europeo di un ritiro selettivo graduale delle misure di sostegno”, ha detto ieri Gentiloni secondo il quale la decisione del governo Draghi fa parte di un “approccio di bilancio più differenziato” che in Italia prevede la pluriannundata riforma degli ammortizzatori che estenderà ai percettori della Naspi, ai cassintegrati e ai disoccupati raggiunti da un sussidio le politiche attive del lavoro al momento previste solo per la parte ritenuta abile al lavoro tra i percettori del cosiddetto «reddito di cittadinanza». Per il momento però i licenziamenti sono partiti senza questa «riforma», la cui ambizione è rilanciare un sistema neoliberale di Workfare che associa un beneficio monetario diretto non a un diritto fondamentale della persona ma alla sua disponibilità di rispondere all'ingiunzione di partecipare obbligatoriamente a una formazione continua che dovrebbe essere fornita da un sistema attualmente inesistente.

Quanti saranno i licenziati?
A Bruxelles – scrive Ciccarelli sul manifesto - non hanno, ancora, fatto le stime su quanti saranno i licenziati in Italia. Nelle previsioni economiche «non abbiamo fatto valutazioni specifiche» ha detto ieri Gentiloni dopo avere presentato le stime macroeconomiche estive insieme al vicepresidente della Commissione Ue Valdis Dombrovskis. Una stima è stata fornita ieri dal presidente dell'Inps Pasquale Tridico secondo il quale i licenziamenti non saranno superiori «a 30 mila» dopo la fine del blocco."Si ipotizzavano all'inizio 300.000-400.000 licenziamenti - ha aggiunto- Ora non lo possiamo dire. C'è una tendenza al miglioramento molto forte che non fa supporre carenza di domanda di lavoro. Per l'Ufficio parlamentare di bilancio le cessazioni dovrebbero essere tra le 30 mila e le 70 mila». Pochi o tanti, comunque ci saranno i licenziamenti. Anzi, sono già iniziati. L'incertezza circonda le conseguenze più gravi *** provocate dal cosiddetto «ritiro selettivo» del parziale e insufficiente Welfare dell'emergenza creato nei mesi più duri della pandemia. Ciò sta aumentando l'ansia di annunciare nuove svolte da parte di tutte le istituzioni, a livello nazionale e sovranazionale, che presentano il prevedibile rimbalzo del prodotto interno lordo (Pil) dopo la catastrofe provocata dal congelamento dell'economia come una specie di miracolo (..)

Sui contratti a tempo deciderà la contrattazione
Ne parla Claudio Tucci sul Sole 24 ore (pagina 3). Spazio ai contratti collettivi per disciplinare i contratti a tempo determinato. Sotto la spinta degli ultimi dati Istat sull'occupazione, che hanno indicato chiaramente come i contratti a termine siano oggi il motore della ripresa, il governo ha aperto alla prima, vera, modifica al decreto Dignità, 4). che, come noto, da luglio 2018 ha irrigidito la disciplina del lavoro a tempo (somministrazione inclusa) assoggettandolo a rigide causali legali. La novità è contenuta in un emendamento al decreto Sostegni bis, condiviso dall'esecutivo, e approvato ieri dal Parlamento. La disposizione cambia l'articolo 19 del digs 81 del 2015, rivisto, come detto, dal dl 87, aggiungendo la possibilità per i «contratti collettivi di cui all'articolo 51 del Digs 81» (quindi contratti nazionali, territoriali e aziendali) di poter disciplinare i contratti a termine. Oggi il decreto dignità è stato appena scalfito dagli ultimi provvedimenti emergenziali, che consentono i rinnovi per una sola volta senza causali fino a dicembre. Con questo emendamento, il dl 87 si modifica in modo strutturale. La novità cambia il quadro normativo in questo modo. I contratti a termine restano di durata di 24 mesi, ma dopo i primi 12 mesi "liberi", se si vogliono prolungare, scattano le rigide causali legali: a) esigenze temporanee e oggettive, estranee all'ordinaria attività, ovvero esigenze di sostituzione di altri lavoratori; b) esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell'attività ordinaria. Se non si rispettano tali condizioni, scatta la conversione del rapporto a termine in contratto a tempo indeterminato (dalla data di superamento del termine di dodici mesi). Ebbene, con la modifica approvata dal Parlamento, con una larghissima maggioranza, si introduce un nuovo comma all'articolo 19, che prevede che si possano attivare contratti a tempo anche per le «specifiche esigenze previste dai contratti collettivi di cui all'articolo 51». D'ora in avanti, quindi, si consente alle parti sociali, che meglio conoscono le singole realtà produttive, di individuare le ipotesi in cui è possibile apporre un termine al contratto. Il passo avanti è significativo, come spiegano gli esperti. Con l'emendamento messo a punto dalla maggioranza e condiviso dal governo «si restituisce alla contrattazione collettiva (anche aziendale) la regolazione dei rinnovi e delle proroghe dei contratti a termine - ha detto Arturo Maresca, ordinario di diritto del lavoro all'università la «Sapienza» di Roma -. Finalmente il legislatore ha dovuto prendere atto che la norma legale sulle causali del decreto dignità creava problemi.(…)

Su Collettiva.it
L'apertura di oggi è dedicata al Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Questa volta si approfondiscono i temi legati alla salute con una intervista di Roberta Lisi alla segretari confederale della Cgil, Rossana Dettori: ll Pnrr prevede oltre 200 miliardi per affrontare la ripartenza dell’Italia. Le missioni sono indicate dall’Europa ma poi lo "svolgimento" è affidato al nostro Paese. È convincente Il Piano? Ne abbiamo parlato con Rossana Dettori, segretaria confederale della Cgil, "No, nel suo insieme non completamente. – spiega la sindacalista –. Il Pnrr contiene punti positivi, ma anche molti punti o negativi o che lasciano perplessità. È la prima volta che l’Italia ha tanti fondi a disposizione, tra le risorse del Pnrr e quelle appostate in altri progetti europei si arriva quasi a 300 miliardi. Somma davvero considerevole, utilissima a far ripartire il Paese. Come saranno impiegate? Certamente quello che proprio non va è che nel Pnrr non c'è traccia di un piano per l’occupazione. Non soltanto per quel che riguarda i servizi e la sanità, ma in generale. Non solo: le scarsissime risorse destinate alle assunzioni sono  - ovviamente – a scadenza: si potranno fare solo contratti a tempo determinato fino al 2026. Abbiamo invece bisogno di creare lavoro, innanzitutto per giovani e donne, di qualità. 

Nella rubrica Buona Memoria si parla di Sandro Pertini, un uomo onesto: 

Tutti gli tappuntamenti
Per tutti gli appuntamenti in calendario vedi l’agenda sul sito della Cgil nazionale:  e l’agenda di Collettiva.it.