La Bolzaneto del 2021 e la sospensione della Costituzione nelle carceri. L’economia in ripresa e il rischio variante Delta. L’allarme dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: troppo lenta la campagna vaccinale europea, potrebbe arrivare la quarta ondata. Mentre il lavoro continua a soffrire.

Inaccettabili le violenze in carcere. Lo affermano Cgil e Fp Cgil: "Quanto accaduto a Santa Maria Capua Vetere è incompatibile con la Costituzione della Repubblica. Confidiamo nell'operato della magistratura per appurare e perseguire le responsabilità, ma bisogna riformare il sistema penitenziario". È possibile leggere la nota integrale su Collettiva.it

Prime pagine

“Bonomi: ora le riforme del lavoro”, questo il titolo de Il Sole 24 Ore che riporta le considerazioni del presidente di Confindustria “L’avviso comune è il Patto per l’Italia per le riforme condivise”.
Il Corriere della Sera, invece, apre sull’allarme lanciano dall’Oms: “Pochi vaccinati in Europa”.
Scelta del tutto differente quella compiuta da La Repubblica: “Il pestaggio coperto dai capi” e nel sommario: “L’accusa: la catena di comando delle carceri sapeva e provò a depistare. Nelle chat la paura dei vertici: Siamo tutti in ballo. Ora ci sarà un terremoto”.
Torna sulla paura varianti del Covid Il Messaggero e titola: “Roma si blinda, tifosi bloccati” e spiega: “Viminale e Uefa annullano i biglietti dei britannici in arrivo per Inghilterra Ucraina. Variante Delta al 25% In Italia. Allarme Oms: Europa a rischio quarta ondata”.
Ancora un altro argomento quello scelto da La Stampa: “Bollette, 200 euro in più a famiglia” e nel sommario: “Draghi: ora le riforme, poi gli eurobond. Il ministro Franco: Possiamo crescere del 5%”.
Il Fatto Quotidiano cambia ancora argomento: “Nuova Tangentopoli: 1 indagato ogni 14 ore”.
la foto notizia de Il Manifesto immortala il pestaggio del detenuto sulla sedia a rotelle e titola: “Depestaggi”.
Infine Avvenire: “Pace per  il Libano”.

Le interviste

“Il nostro impegno è dare una risposta alle 5 diseguaglianze che esistono: conoscenza, competenza, di genere, generazionale e di territorio” questo è l’incipit della conversazione con Maurizio Stirpe, vice presidente di Viale dell’Astronomia, con Nicoletta Picchio pubblicata a pag. 3 de Il Sole 24 Ore. “Non si licenzia ma si assume, tanto più che dai dati, in particolare nel settore manifatturiero, emerge una ripartenza più forte delle attese. Lo abbiamo ripetuto più volte nelle scorse settimane, davanti a chi agitava cifre irrealistiche di perdita di posti di lavoro”. E rispondendo ad una domanda sull’accordo firmato con governo e sindacati, Stirpe afferma: “Possiamo voltare pagina dopo le tensioni dell’ultimo periodo che ci hanno visto in contrapposizione con il sindacato. La mediazione del presidente Draghi è stata utili ed efficace. Ora dobbiamo concentrarci sui temi che possano rendere più efficace la ripartenza. E cioè come agevolare l’ingresso nel mondo del lavoro di giovani e donne, puntando su una maggiore flessibilità in entrata, con particolare riferimento ai contratti a tempo determinato, che sono stati bruciati nell’ultimo anno e mezzo. E tutta la partita degli ammortizzatori sociali e politiche attive del lavoro, fondamentali per favorire l’occupabilità nel percorso lavorativo delle persone”.

Lo stesso quotidiano milanese pubblica una intervista con il ministro delle infrastrutture e mobilità sostenibili Enrico Giovannini, pag. 3. Al centro della conversazione, il disegno di legge sugli appalti approvato in Consiglio dei ministri due giorni fa: “Anzitutto avremo più sostenibilità ambientale e sociale. Non in astratto, ma nei bandi di gara, in modo da premiare le imprese che propongono soluzioni innovative sotto il profilo ambientale. Rafforziamo anche la tutela dei lavoratori, il rispetto dei contratti, le clausole sociali e quelle in favore di giovani e donne. Il secondo aspetto fondamentale è quello delle semplificazioni, concretamente trainate dall’esperienza del Pnrr. Ora noi dobbiamo estendere queste semplificazioni alle opere che nel Pnrr non entrano. Saremo più aderenti alle regole Ue, sempre riconoscendo l’attenzione alla difesa della legalità”.

Sempre su temi di politica economica e sindacale parla Sergio Cofferati a pag. 2 de Il Fatto Quotidiano che riflette sull’accordo sui licenziamenti, firmato martedì scorso tra parti sociali, datoriali e governo.

Molte le interviste sulla ipotesi di scissione dei 5Stelle. Peppe Provenzano, vice segretario del Pd, sentito da Stefano Cappellini per La Repubblica, afferma: “Il fallimento del tentativo di Conte di democratizzare il M5S affrancandolo da un comico che comanda e da Casaleggio non è una buona notizia. Non lo è per l'Italia prima che per il Pd. Di democratico è rimasto solo il Pd, gli altri sono tutti partiti personali. È chiaro quanto sia urgente una legislazione sui partiti". Ma il dialogo spazia su tutti i fronti aperti della politica odierna, e a una domanda su quale lavoro il Pd vuole rappresentare, l’ex ministro per il Sud risponde: "Deve puntare a rappresentare il lavoro in tutte le sue forme, anche i giovani professionisti precarizzati, le partite Iva cui abbiamo dato risposte dopo decenni di chiacchiere. Serve una battaglia per le retribuzioni giuste, non solo garantire salari minimi ma rafforzare la contrattazione e introdurre nuovi diritti al tempo dell'algoritmo". E l'impresa? La lasciate al centrodestra? Domanda Cappellini: "Certo che no. La nostra industria manifatturiera, la seconda d'Europa, deve partecipare alla transizione ecologica e digitale. Non limitarsi a importare, ma produrre tecnologia. Così si crea lavoro buono".

Sul fisco. A pag. 4 de Il Sole 24 Ore interviene il presidente della Commissione Finanze della Camera, Luigi Marattin, che sostiene: “La pressione fiscale va spostata dai fattori produttivi, ma una mera redistribuzione sarebbe una occasione persa perché il peso delle tasse va ridotto”.

Infine, finalmente, voce a due donne. La prima è sentita dal Corriere della Sera, Lella Golfo, ex parlamentare, interviene sugli effetti della Legge che porta il suo nome per le quote femminili del CdA e afferma che in 10 anni è cambiato molto: “nei CdA solo il 5,6% erano donne. Oggi il 40. Ora tutti parlano di presenza femminile ai vertici, di inclusione ed empowermwnt. E anche nel governo attuale è entrato quel principio. Ma c’è voluta una rivoluzione culturale e non è stato facile”.

Davvero interessante, infine, è la conversazione tra Simona Silvestri di Left e Elena Granaglia, ordinaria di Scienza delle Finanze all’Università Roma Tre. Merita davvero di esser letta tutta con attenzione, il ragionare su cosa sia la povertà che non è una colpa dei poveri e nemmeno una condizione naturale né un male inevitabile, è davvero utile. Secondo la docente per cominciare a contrastarla bisogna partire dalla riduzione delle diseguaglianze e la leva su cui puntare è il lavoro.

Editoriali e commenti

“Torniamo a parlare di lavoro” è il titolo dello scritto di Maurizio Ferrera a pag. 2 del Corriere della Sera: “…..In Italia non c’è abbastanza lavoroLa sesta economia del pianeta riesce ad occupare solo il 58% dei propri adulti, di contro al 65% della Francia, ad una media Ue del 68% e al 77% della Germania. Vuol dire milioni di posti di lavoro in meno.

Può consolarci la tenuta della manifattura, ma da sola non può garantire la creazione di lavoro ai livelli di cui un Paese come il nostro avrebbe bisogno. Il deficit riguarda soprattutto il settore dei servizi. In parte è l’esito del «familismo» all’italiana, che ancora relega una grande quantità di donne a produrre entro le mura domestiche quei servizi di cura che altrove in Europa vengono erogati dallo Stato o dal mercato — creando così occupazione. In altra parte, i posti scarseggiano a causa dei tanti colli di bottiglia che ostacolano la concorrenza e il dinamismo del terziario. Più in generale, a parte rare eccezioni, il nostro Paese non è riuscito a innescare i motori di sviluppo tipici delle economie post-industriali. Sulle mappe che mostrano dove sono in Europa i cosiddetti «hub» di crescita (valore aggiunto e occupazione), la penisola italiana offre un quadro desolante. Le regioni del Sud sono una delle più ampie zone grigie (prive di hub) del continente. Mentre la costa spagnola e le Baleari, la Corsica, le isole greche e Cipro sono indicati come «paradisi del turismo», in tutto il Mezzogiorno rientra in questa categoria solo la provincia di Olbia. Il resto sopravvive principalmente grazie al bilancio pubblico. E nel Centro-Nord i distretti «ad alta intensità di conoscenza» sono molto meno numerosi che nei Paesi centro-continentali e nordici. Secondo la tesi di due noti scienziati politici, Torben Iversen e David Soskice, la diffusione e il radicamento della knowledge economy (intesa in senso ampio: non solo tecnologia, ma anche turismo, cultura, intrattenimento, istruzione e ricerca) sono oggi condizioni necessarie per mantenere alti livelli di occupazione e salvaguardare al tempo stesso prosperità e democrazia. L’Italia è ancora in mezzo al guado. E persino nei territori dove si è acceso il motore post-industriale, la crescita del valore aggiunto non ha generato tutta l’occupazione potenziale.

Di questo si dovrebbe parlare oggi; è in questa cornice che dovrebbe inserirsi il dibattito sul lavoro. Parlare solo di ammortizzatori sociali non fa che riprodurre la trappola della paura. Per dare fiducia ai giovani, ci vorrebbe un piano strategico per riempire la penisola di hub, con una fitta rete di punti d’accesso. Accompagnato da una comunicazione politica imperniata sulle garanzie di opportunità, in modo da neutralizzare quel riflesso condizionato che induce a privilegiare sempre e soltanto le garanzie di protezione”.

Luigi Manconi su La Repubblica interviene sulla mattanza nel carcere campano: “…………..Dietro questo silenzio della destra, che corrisponde a un’autodichiarazione di correità morale e politica, non c’è solo un calcolo elettorale piccino. C’è anche una concezione dell’ordine pubblico, della detenzione e del significato e della finalità della pena che rappresenta “un tradimento della Costituzione” (come detto dalla ministra della Giustizia a proposito delle violenze nell’istituto di Santa Maria Capua Vetere). Un’idea del carcere, cioè, ridotto a luogo di contenimento e repressione dei corpi dei trasgressori e dei devianti, di sopraffazione fisica nei confronti di chi è fuori dalla norma e di afflizione psicologica per tutte le forme di irregolarità e indisciplina. Un sistema che, coscientemente o meno, persegue con ogni mezzo — dal linguaggio puerile (domandina, spesino, scopino...) alla mortificazione della sfera sessuale — l’infantilizzazione del recluso e la sua de-responsabilizzazione (verso sé e verso gli altri).

In caso di disubbidienza (per esempio, una protesta), il codice non scritto prevede la sanzione massima. Quella del 6 aprile del 2020, infatti, non è stata una esplosione di violenza incontrollata, piuttosto una vera e propria spedizione punitiva, programmata e meticolosamente messa in atto.

Dunque, la responsabilità di essa non può essere circoscritta agli esecutori materiali. E nemmeno al provveditore delle carceri campane, il quale informa in tempo reale il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Francesco Basentini, ottenendo questa risposta: «hai fatto benissimo». Siamo in presenza, dunque, non di una manifestazione patologica, determinata da un imprevisto stato di emergenza, bensì dell’esercizio di un potere puntualmente definito (la «perquisizione straordinaria») come strumento per ristabilire l’ordine violato.

Non a caso, qualche mese dopo, il 16 ottobre, il ministro della Giustizia, rispondendo a un’interpellanza urgente di Riccardo Magi (+Europa), definiva quella del 6 aprile «una doverosa azione di ripristino di legalità e agibilità». E identica risposta avrebbe fornito a Pierantonio Zanettin (Forza Italia) qualche giorno dopo. Ecco, basta leggere questi atti parlamentari per comprendere il dispositivo di menzogna e di violazione delle garanzie, che legittima e riproduce la gestione del sistema penitenziario. Il ministero della Giustizia, attraverso due diversi sottosegretari, legge in Aula un testo bugiardo dalla prima all’ultima parola, risultato di una trama ingannevole, evidentemente tessuta tra uffici del dicastero e amministrazione penitenziaria.

Ha qualcosa da dire, in proposito, l’allora ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, indotto a mentire davanti al Parlamento? D’altra parte, il fatto che quello di Santa Maria Capua Vetere non sia stato un episodio isolato è confermato da una cronologia impressionante: nell’arco di 9 mesi, tra il luglio del 2019 e l’aprile del 2020, nove procure hanno indagato su altrettante vicende di violenze all’interno delle carceri. Per una di queste, San Gimignano, già c’è stata una prima condanna per il reato di tortura a carico di dieci poliziotti. Ripeto: non si deve dedurre da ciò che l’intero corpo della Polizia penitenziaria sia composto da criminali, ma nemmeno può dirsi che questi ultimi siano «poche mele marce». (A proposito: le mele andate a male, anche quando rare, se lasciate nel cesto della frutta, finiscono per far marcire tutte le altre).

La concezione della pena largamente dominante all’interno dell’amministrazione (ma anche della classe politica e del senso comune), è fondata sul presupposto che il recluso costituisca un fattore di irriducibile violenza da sottomettere con il ricorso a una violenza opposta e speculare, capace di renderlo inoffensivo. Va da sé che, in tale contesto, il principio costituzionale della “rieducazione del condannato” risulti un esercizio retorico per anime belle. Se questa è la concezione della giustizia e la cultura professionale di gran parte degli operatori penitenziari, è fatale che la tensione presente tra custodi e custoditi possa portare l’aggressività latente a farsi violenza diretta.

Ciò non significa arrendersi al fatto che il carcere sia uno spazio extra-legale, sottratto a ogni controllo e a ogni possibilità di riforma. Intanto si individuino tutte le responsabilità, politiche e amministrative, di quella «orribile mattanza» (parole del giudice Sergio Enea). Sarà appena un primo passo, ma indispensabile, perché il carcere sia un luogo di esecuzione delle pene, secondo le regole dello Stato di Diritto, e non la sentina cupa e psicotica di tutte le pulsioni sadiche che la società e i suoi servizi di assistenza e cura non hanno saputo trattare: e che lì trovano sfogo”.

La Stampa, a pag. 3, pubblica l’intervento del Presidente del Consiglio Mario Draghi all’Accademia dei Lincei: “La pandemia non è alle spalle, solo il debito buono può rafforzare l’Italia”.

Sulla necessità di spendere bene e celermente le risorse europee tornano Gustavo Piga e Gaetano Scognamiglio su Il Sole 24 Ore: “Limiti alle regole e discrezionalità migliorano il sistema degli appalti. Ma le competenze sono cruciali”.

E poi, come prevedibile, molte le riflessioni sulle conseguenze del terremoto all’interno del Movimento 5 Stelle. Stefano Folli, pag. 5 de La Repubblica, ragiona sulla prossima elezione del presidente della Repubblica: “…..Non stupisce allora il rammarico di Enrico Letta, semmai meraviglia che si sia lasciato sfuggire un accenno così esplicito alle intese - non trasmesse via streaming - intercorse con l'avvocato del popolo prima del big bang grillino. Il segretario del Pd sa di non poter essere da solo l'architetto del Quirinale. Di conseguenza il patto con colui che fino all'altro giorno era il pretendente alla leadership dei 5S aveva una logica: creare una massa critica in grado di mantenere nell'alveo del centrosinistra il bandolo della matassa quirinalizia. Del resto la tradizione dice che negli ultimi decenni la presidenza della Repubblica è sempre stata appannaggio di uno stesso schieramento, appunto il centrosinistra, attraverso diversi filoni politici: sinistra cattolica, ex Pci, azionisti, socialisti (se vogliamo risalire a Pertini). Fa eccezione Scalfaro che però diede una forte impronta anti Berlusconi al suo settennato.
Ora la continuità rischia di spezzarsi, a meno che i 5S trovino il modo di incollare i loro cocci. Ma anche in quel caso le ambiguità tenderanno ad affiorare a ogni piè sospinto. Quindi l'interrogativo si ripropone: chi sarà il grande elettore del 2022? Può sembrare paradossale, ma al momento la figura di tessitore più idonea (se non l'unica) è quella di Mario Draghi. Non dispone di una forza politica propria, ma questo è un vantaggio, trattandosi di legare insieme una serie di fili spezzati e di dare coesione ed equilibrio a un sistema che ne è ormai privo. In fondo è quello che Draghi fa già oggi da Palazzo Chigi. Naturalmente questo non significa che egli voglia essere il grande elettore di se stesso (lo vedremo più avanti: tanti, come è noto, si augurano che il premier resti alla guida dell'esecutivo). Significa però che il regista del Quirinale potrebbe essere un uomo dotato di senso politico eppure estraneo a un sistema partitico decadente e finora incapace di auto riformarsi”.

Sullo stesso tema da leggere, anche, la politologa Nadia Urbinati a pag. 1 de Domani

Economia, lavoro e sindacato

Energia, tlc e politica industriale. I nodi del Pnrr.
Un’ intervista, a cura di Paolo Andruccioli, al segretario nazionale della Cgil Emilio Miceli apre oggi Collettiva.it

Il discorso del premier Draghi all’Accademia dei Lincei e le sue considerazioni sull’economia e la ripresa, ma anche le preoccupazioni rispetto alla variante Delta si trovano su tutti i quotidiani oggi in edicola (il testo integrale è pubblicato su La Stampa)

Non solo Il Sole 24 Ore pubblica un lungo resoconto della soddisfazione del presidente di Confindustria per la sottoscrizione dell’accordo dell’altro ieri sui licenziamenti. “Grande soddisfazione e i motivi sono più di uno: per l’abilità e la fermezza dimostrata da Mario Draghi sul confronto che ha portato all’avviso comune in tema di licenziamenti. E perché si torna a quello che Confindustria aveva detto a settembre, un grande patto per l’Italia, con una intesa che è una visione sul futuro, una grande responsabilità per tutti noi”. Lo scrive Nicoletta Picchio che ricorda come Bonomi ora guardi alla riforma degli ammortizzatori sociali come uno dei punti importanti all’interno del Pnrr.

Scrive Valentina Conte a pag. 12 di La Repubblica sull’avviso comune: “I sindacati avrebbero di certo preferito il recepimento dell’intesa nel decreto, come fu per il protocollo sulla sicurezza siglato in pieno lockdown nel 2020. Ma dopo 7 ore di trattativa non sono andati oltre la "presa d’atto". Si vedrà ora come agiranno le grandi imprese. Le procedure per i licenziamenti collettivi sono lunghe e costose. Partono con la comunicazione ai sindacati, poi fino a 45 giorni di "esame congiunto" per trovare un accordo e altri 30 giorni, se si finisce all’ufficio provinciale del lavoro. Infine il preavviso di licenziamento ai lavoratori. Senza accordo sindacale il "ticket licenziamento" - il contributo Naspi dovuto dall’azienda all’Inps - si triplica: da circa 3 mila a 9 mila euro per ciascun lavoratore con più di tre anni di anzianità.
L’Ufficio parlamentare di bilancio calcola in 70 mila i possibili esuberi quest’anno: non lo tsunami che si immaginava. La ripresa d’altro canto si riaffaccia. Anche se trainata dai contratti precari. I dati Istat su maggio diffusi ieri confermano che la nuova occupazione si muove solo grazie ai tempi determinati: 300 mila in più da gennaio, 2 milioni e 966 mila lavoratori a termine in totale, sfiorato il record dei 3 milioni e 53 mila del terzo trimestre 2019. Le imprese licenzieranno per assumere a tempo? Le alternative per non licenziare ci sono. Il governo ha tolto le addizionali alla Cassa ordinaria e straordinaria fino a fine anno e concesso altre 13 settimane di Cassa straordinaria, pure questa scontata, alle imprese dei tavoli di crisi e pure a quelle che avevano finito tutte le settimane a loro disposizione già prima della pandemia. Non hanno alibi, ma non è detto che rinunceranno a tagliare i budget”.

Notizia positiva pubblicata a pag. 2 de La Stampa: “Tassa minima globale in 130 paesi, ora anche Cina e India dicono sì”.

E poi la variante Delta e le preoccupazioni dell’organizzazione Mondiale della Sanità sui pochi vaccinati in Europa e il rischio quarta ondata. Nel scrive, tra gli altri Viola Giannoli a pag. 3 de La Repubblica: “Dopo dieci settimane di calo, la curva dei contagi da Coronvirus in Europa è tornata a salire. Tanto che l'Oms ha sollevato il rischio di una nuova ondata, la quarta, della pandemia: "Ci sarà prima dell'autunno se non restiamo disciplinati" ha detto il direttore dell'Organizzazione mondiale della Sanità. Ci sono, secondo Hans Kluge, "tutte e tre le condizioni" per l'ennesima tempesta "di decessi ed eccesso della pressione ospedaliera dovuta al Covid-19". E le condizioni sono anzitutto "l'aumento dei contatti sociali" per "la ripresa dei viaggi e degli assembramenti e l'allentamento delle restrizioni" che ha causato "la scorsa settimana un incremento del 10% di casi nel Vecchio Continente". E prosegue. “……L'Oms guarda però con preoccupazione in avanti: ad agosto, spiega Kluge, la Delta diventerà prevalente. L'arma per combatterla sono i vaccini visto che "le evidenze dimostrano che due dosi di uno qualunque dei farmaci approvati dall'Ema (Pfizer, Moderna, AstraZeneca, J&J) proteggono anche dalla variante" e "la strategia della vaccinazione eterologa ha dimostrato di avere successo". Ma è proprio qui il punto: per il direttore dell'Oms, nonostante gli sforzi dei governi, la copertura vaccinale in Europa è "inaccettabile" e lontana dalla quota raccomandata dell'80% della popolazione, soprattutto per quanto riguarda il personale sanitario e gli anziani. In Italia l'88,2% di medici e infermieri è già immune e così anche l'86,5% degli ultraottantenni e il 57,5% dei settantenni, mentre sono ancora più della metà i sessantenni senza doppia somministrazione. Il bollettino di ieri racconta di 882 contagi e 21 decessi, 12 regioni senza vittime e i ricoveri in calo nei reparti ordinari e nelle terapie intensive. Oggi è attesa la nuova flash survey dell'Iss e del ministero della Salute dedicata alla variante Delta che si attesta per ora attorno al 10% in alcune grandi regioni come il Lazio e la Lombardia….”.

Ma come è ovvio a campeggiare su tutti i giornali è la violenza nelle carceri, al plurale sì perché la vicenda di Santa Maria Capua Vetere rischia di essere solo uno degli episodi. A vent’anni dall’anniversario del G8 di Genova e del massacro della scuola Diaz e di Bolzaneto, lascia senza parole. Da leggere su La Repubblica le dichiarazioni del Garante dei Detenuti Mauro Palma.

L’Agenda degli appuntamenti

Per il quadro completo di tutti gli appuntamenti Cgil, vedi l’Agenda di Collettiva.