Maria, all’ennesimo richiamo ricevuto dal suo responsabile che le contestava di non aver spolverato a fondo tutti gli uffici che le erano stati assegnati, esasperata da quei continui rimproveri che sentiva ingiusti, decideva di rivolgersi alla Filcams Cgil di L’Aquila per denunciare la sua condizione lavorativa.

Da mesi, infatti, la lavoratrice con le poche ore del suo contratto part-time lavorava assieme a una sua collega in un appalto, chiaramente sottorganico, dovendo spazzare, spolverare, e riassettare gli uffici della committente distribuiti in 5.669 metri quadri.

Più volte aveva segnalato che le risorse assegnate nell’appalto erano manifestamente insufficienti, facendo presente che la nuova azienda appaltatrice aveva persino ridotto il già limitato organico previsto dalla precedente azienda affidataria del servizio che in passato garantiva la pulizia di quegli stessi uffici.

La richiesta della Filcams di accedere alla scheda tecnica del capitolato d’appalto al fine di palesare l’inadeguatezza delle risorse impiegate dall’azienda appaltatrice determinava l’immediato allontanamento di Maria dal suo posto di lavoro.

La decisione dell’azienda, motivata su una asserita incompatibilità “ambientale”, ha ingenerato nella lavoratrice una condizione di stress in quanto la modifica del luogo di lavoro imponeva spostamenti che non le consentivano più di conciliare il suo impegno lavorativo con la necessità di assistere i suoi due figli.

Il già precario equilibrio che le consentiva un contemperamento tra i tempi di vita e di lavoro veniva, infatti, stravolto da quella misura organizzativa che all’improvviso impediva a Maria di potere adeguatamente assistere il figlio minore nelle sue esigenze quotidiane e parascolastiche.

Da sola Maria non poteva percorrere la città barcamenandosi tra il lavoro, la gestione della casa e la cura dei figli che quotidianamente doveva accompagnare a scuola e nelle attività extrascolastiche fondamentali per il loro sviluppo.

Il Tribunale, adito dalla lavoratrice sostenuta nella sua azione dalla Cgil aquilana, con un'innovativa decisione ha riconosciuto la compromissione del diritto di Maria alla serenità familiare, violato da quel trasferimento che non le consentiva di vivere a pieno il suo ruolo di madre lavoratrice assicurando la necessaria alternanza tra gli impegni familiari e il lavoro.

L’azienda è stata condannata a revocare il provvedimento di trasferimento e a pagare un risarcimento del danno con una pronuncia che costituisce un primo importante riconoscimento del diritto al benessere familiare dei lavoratori, che l’organizzazione del lavoro deve sempre necessariamente rispettare.

Le conseguenze sulla salute derivanti da una costrizione organizzativa idonea a generare ansia e stress sono note nella medicina del lavoro e non possono essere sottovalutate ma, anzi, - sottolinea la Filcams Cgil aquilana - devono essere puntualmente considerate nel documento di valutazione dei rischi così come previsto dall’art 28 del d.lgs 81/2008.

Lo stress che può generare una misura organizzativa deve essere opportunamente analizzato considerando le diversità di genere, età e persino di provenienza geografica che caratterizzano ogni lavoratore.

La sentenza del Tribunale abruzzese ha il merito di disvelare finalmente che la compromissione del diritto alla serenità familiare può derivare da misure organizzative che, ove non adeguatamente ponderate, possono incidere diversamente sull’equilibrio di un lavoratore in ragione del genere e delle esigenze di cura familiare, come recentemente anche ribadito dalla riforma del codice delle pari opportunità

Domani Maria, anche grazie all’impegno della Cgil, potrà di nuovo finalmente riaccompagnare il figlio sul campo di calcio per continuare gli allenamenti che aveva dovuto sospendere e vederlo giocare senza dover necessariamente scegliere se rinunciare al suo lavoro o al suo benessere familiare.