La Corte costituzionale, con sentenza n. 67 del 2022, ha stabilito che i cittadini non europei, soggiornanti di lungo periodo e con permesso unico di lavoro, non possono essere trattati in modo diverso dai cittadini italiani nell’accedere al beneficio dell’assegno per il nucleo familiare (Anf), anche se alcuni componenti della famiglia risiedono temporaneamente nel paese di origine. Il primato del diritto dell’Unione europea sul diritto interno, infatti, impone di riconoscere l’assegno per il nucleo familiare ai cittadini extracomunitari.

La parità di trattamento fra i destinatari di questa provvidenza – che ha natura sia previdenziale sia di sostegno a situazioni di bisogno – è garantita dai giudici, tenuti ad applicare il diritto europeo (e quindi a disapplicare il diritto interno non conforme). La Corte costituzionale, nel dichiarare inammissibili le questioni sollevate dalla Corte di cassazione (per difetto di rilevanza, visto che la Cassazione stessa avrebbe dovuto disapplicare direttamente le norme), ha affermato che il principio del primato del diritto dell’Unione costituisce ‘‘l’architrave su cui poggia la comunità di corti nazionali, tenute insieme da convergenti diritti e obblighi’’. Quel principio, valorizzato nei suoi ‘‘effetti propulsivi nei confronti dell’ordinamento interno’’, non è alternativo al sindacato accentrato di costituzionalità configurato dall’articolo 134 della Costituzione ‘‘ma con esso confluisce nella costruzione di tutele sempre più integrate’’, in una prospettiva multilivello.

Occorre precisare che, in risposta a due rinvii pregiudiziali promossi dalla Cassazione, la Corte di giustizia dell’Unione europea (sentenze 25 novembre 2020, nelle cause C-302/19 e C-303/19) aveva ritenuto non compatibile la disciplina italiana relativa all’Anf con due direttive europee (2003/109 sui soggiornanti di lungo periodo e 2011/98 sul rilascio di permesso unico di lavoro). L’art. 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109/CE prevede che "il soggiornante di lungo periodo" gode dello stesso trattamento dei cittadini nazionali per quanto riguarda le prestazioni sociali, l’assistenza sociale e la protezione sociale ai sensi della legislazione nazionale. L’art. 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98/UE prevede che "i lavoratori dei paesi terzi di cui all’art. 3, paragrafo 1, lettere b) e c)" beneficiano dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano per quanto concerne i settori della sicurezza sociale definiti nel regolamento (CE) n. 883 del 2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale.

Ciò detto, se è vero che sono i familiari a beneficiare dell’Anf – si precisa nelle pronunce della Corte di giustizia – è altrettanto vero che l’assegno è versato al lavoratore o pensionato, componente a sua volta del nucleo familiare. L’obbligo di non differenziare il trattamento dei cittadini di paesi terzi regolarmente soggiornanti è imposto dalle direttive in modo chiaro, preciso e incondizionato, come tale dotato di effetto diretto.

Nella sentenza la Corte costituzionale ha osservato che la procedura pregiudiziale, oltre a rappresentare un canale di raccordo fra i giudici nazionali e la Corte di Lussemburgo per risolvere eventuali incertezze interpretative, concorre ad assicurare e rafforzare il primato del diritto dell’Unione, alla cui attuazione i giudici comuni partecipano secondo il meccanismo del controllo diffuso, "disapplicando all’occorrenza" qualsiasi disposizione del diritto nazionale contrastante con il diritto dell’Unione: è questo, infatti, l’effetto utile dell’art. 267 Tfue (Trattato sul funzionamento dell’Unione europea). La competenza esclusiva della Corte di giustizia nell’interpretazione e applicazione dei Trattati - che la Corte costituzionale ha riconosciuto, anche recentemente, in sede di rinvio pregiudiziale - ‘‘comporta, in virtù del principio di effettività delle tutele, che le decisioni adottate sono vincolanti, innanzi tutto nei confronti del giudice che ha disposto il rinvio’’.

In sostanza siamo di fronte ad un’importante sentenza che, oltre a ristabilire la giusta parità di trattamento tra cittadini italiani e cittadini extracomunitari nella fruizione degli Anf, contribuisce a chiarire un aspetto molto importante del rapporto tra diritto europeo e legislazione nazionale, laddove si tratti di applicare direttive dell’Unione aventi efficacia diretta nel nostro ordinamento.