È il 1982. Ci si prepara a festeggiare il Primo Maggio. Alle 9 e 20 del 30 aprile, il segretario regionale del Pci siciliano Pio La Torre è in auto diretto verso la sede del partito. Alla guida della Fiat 131 c’è il compagno Rosario Di Salvo.

All’improvviso li avvicina una moto. Al primo stop raffiche di proiettili. La Torre muore subito. Di Salvo poco dopo. La notizia irrompe nella sede de l’Unità dove fervono i preparativi per il giorno successivo.

“Incredibile - scrive Emanuele Macaluso il giorno successivo -. È toccato a me fare il giornale che annuncia l’assassinio del compagno Pio La Torre col quale ho condiviso quasi tutta la mia vita di militante comunista e i giorni amari e lieti del nostro vivere insieme come compagni, come amici, come fratelli. Lo conobbi al Congresso regionale della Cgil all’inizio del 1947. La Torre aveva 19 anni e lavorava alla Federterra di Palermo. Era, come si dice, un bel ragazzo e nel volto, negli occhi, in tutti i suoi movimenti irrequieti esprimeva una eccezionale vitalità. Dopo quel congresso Pio La Torre dedicò tutta la sua viva intelligenza, il suo eccezionale vigore, la sua straordinaria volontà, la sua passione politica al riscatto della Sicilia. Figlio di un bracciante dell’agro palermitano, viveva febbrilmente la bellezza, e la tragedia di questa terra. Dirigente nazionale del Partito, non si staccò un solo momento dalla Sicilia e nei mesi scorsi, quando tornò a dirigere il comitato regionale, sembrava come avere appagato non solo un’esigenza politica ma un’aspirazione umana. La sua impazienza, il suo voler fare tutto e subito esprimeva non solo un dato del suo carattere ma la consapevolezza della posta in giuoco, delle forze in campo. Era così negli anni della lotta per la terra, quando scriveva dal carcere, quando costruiva il partito in una città come Palermo, quando dirigeva il sindacato, sino ad oggi nella battaglia contro la base missilistica di Comiso”.

 

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“Non ebbe e non diede tregua a nessuno, ad amici e nemici. Fu un combattente vero e instancabile. Tutta la sua formazione politica si è forgiata nel corso delle lotte sociali e politiche dei lavoratori conoscendone sino in fondo i problemi e i travagli umani. (…) La Torre diventò, così, dirigente contadino e comunista, voce autentica del popolo siciliano, espressione delle tradizioni democratiche e autonomistiche dell’Isola, anche nel Parlamento. Chi ha sparato contro quest’uomo buono e onesto, retto e leale? Chi ha sparato contro quella Sicilia che lui esprimeva più di ogni altro? Non è difficile capire che a sparare sono statele forze che guidano il terrorismo politico mafioso in Sicilia. (…) Prima di La Torre erano stati assassinati Mattarella e i giudici Cesare Terranova e Costa. Questi uomini non furono trucidati dalla mafia in relazione ad atti amministrativi o giudiziari sgraditi. Furono trucidati perché segnavano un rinnovamento in punti chiave della vita amministrativa e giudiziaria e un momento di svolta rispetto al passato”.

 

“Stavamo preparando il numero del Primo maggio, giorno in cui il giornale diffondeva 1.000.000 di copie - ci raccontava Macaluso in una intervista qualche anno fa -. All’improvviso irrompe nella stanza il caporedattore del giornale che mi dice: ‘Hanno ucciso Pio La Torre’. Immaginate quale fu la mia reazione e la mia emozione. Così seppi dell’uccisione di Pio La Torre. Il lunedì di Pasqua Pio era venuta a Roma, a casa mia. Mi aveva portato il formaggio fresco di cui ero goloso. Io allora abitavo a via Monferrato, pranzammo insieme e scendemmo dopo pranzo a fare una passeggiata sul Lungotevere. Mentre passeggiavamo lui mi disse: ‘Dì a Berlinguer che adesso tocca a noi!’. La mafia aveva già ucciso, ed era chiaro che quel ‘noi’ era riferito a sé stesso”.