“Rimanete in casa”, ripete ossessivamente la tv, “non uscite, chi esce verrà denunciato”, scandiscono gli altoparlanti. Così da giorni, perché per contenere la pandemia non c’è altro mezzo che ridurre al minimo essenziale tutte le attività, umane e non; persino il cane deve farla a pochi metri da casa. Tutte le attività tranne una, quella umana per eccellenza: in pasto al virus, oggi milioni di persone usciranno di casa, prenderanno autobus o metropolitane senza poter rispettare la distanza di sicurezza e andranno al lavoro. Molti di loro sabato sera avevano sentito il governo promettere di chiudere per un po’ le “produzioni non essenziali”, come avevano chiesto scienziati, sindaci e sindacati. Perché forse non è ancora troppo tardi per tirare su qualche argine, contenere la pandemia, evitare sacrifici umani in attività impraticabili.

Sarebbero stati comunque moltissimi ad andare al lavoro, negli ospedali, nei supermercati, nei trasporti, nei servizi, dovunque una comunità ferita abbia bisogno di ricorrere per vivere. Sacrifici rischiosi, da tutelare con tutte le misure necessarie, ma comprensibili a tutti, in primo luogo a chi li fa. Invece domenica il governo ha fatto un’altra scelta e le “attività essenziali” si sono allargate a dismisura, dalla produzione di corde ai riders, dall’aerospazio all’industria militare, dai call center all’estrazione di carbone. Un elenco sterminato, in cui c’è dentro quasi tutto. Nella sostanza il governo ha ceduto al pressing di Confindustria: gli industriali avevano chiesto un rinvio del decreto, il governo per non fare una figuraccia dopo l’esternazione televisiva di sabato notte, ha varato un testo che vanifica il senso della promessa data, rinviando comunque di tre giorni la sua operatività “per completare le attività necessarie alla sospensione”.

Dopo miopi ritardi, sabato sera il governo sembrava aver affermato come prioritario il diritto alla salute e alla vita rispetto al mercato e ai profitti. In meno di ventiquattr’ore ha invertito i fattori precipitando nella confusione e nella paura milioni di persone che non capiscono quale differenza ci sia tra il cittadino invitato a starsene chiuso in casa e il lavoratore chiamato in azienda, quando sono la stessa persona. L’abuso mercantile del concetto di essenziale impone scelte difficili per riaffermare il primato della salute e della sicurezza, far tornare il governo sui suoi passi, costringere le imprese che non lo fanno a rispettare quelle regole che invece si fermano ai cancelli aziendali. Dal dover lavorare per guadagnarsi da vivere si è passati al dover scioperare per guadagnarsi la vita. Che è ancora tutta da conquistare.