Nella primavera del 1918 una devastante influenza emorragica comincia a mietere vittime in Europa, arrivando in pochi giorni in Francia, Spagna, Italia, negli Stati Uniti, in Russia, in India e in Africa. Nel giugno del 1918 i giornali iniziano a parlare di influenza “spagnola”, anche se la nuova malattia di spagnolo aveva ben poco (la Spagna è banalmente la prima a parlare dell’epidemia, a differenza della grande maggioranza dei paesi europei la cui stampa è sottoposta a censura a causa della guerra). Sarà “il più grande olocausto medico di sempre”, mutuando le parole della storica Catharine Arnold. In un’Europa prostrata dalla guerra, in assenza di antibiotici e ossigenoterapia si stima abbia portato alla morte milioni di persone, colpendo un individuo su tre, con una letalità maggiore del 2,5% e circa 50 milioni di decessi, alcuni ipotizzano fino a 100 milioni.

Anche nel 1918 il governo chiederà agli italiani di “ridurre al minimum gli affollamenti in genere e i contatti dei sani coi malati (ad esempio nelle visite agli ospedali)”, arrivando anche a “misure estreme di contenimento e comportamento” come quelle emanate dalla Prefettura di Reggio Emilia il 22 ottobre 1918: “Da oggi e sino a nuovo avviso sono proibiti tutti i cortei funebri. Tutti i feretri, di qualunque categoria, dovranno essere trasportati direttamente dalla casa del defunto al Cimitero e sarà in permanenza un sacerdote per le assoluzioni di rito. Potranno seguire il feretro soltanto un sacerdote e i rappresentanti della famiglia dell’estinto. Tutti i Cimiteri resteranno chiusi al pubblico dal 27 Ottobre corrente all’11 Novembre inclusi, rimanendo così soppresse tutte le funzioni e le onoranze alle tombe, solite a farsi nei primi di Novembre per la commemorazione dei defunti”.

A Reggio Emilia, riporta Michele Bellelli, “veniva presentato un vero e proprio decalogo che i cittadini dovevano tenere alla presenza di altre persone, come prima difesa contro un possibile contagio: non starnutire e non tossire senza essersi coperta la bocca con un fazzoletto; non sputare in terra; non baciare, non dare la mano; non frequentare caffè, ristoranti e osterie affollati; salire in carrozza meno che si può; tenere aperte le finestre con qualunque tempo e in ogni luogo. Vivere più che si può all’aria libera; non fare visite né riceverne. Evitare soprattutto di recarsi negli Ospedali e in quei luoghi ove sono, o sono stati, dei malati; non viaggiare; respirare possibilmente attraverso il naso ed evitare di volgere la bocca a chi vi parla; disinfettarsi le mani prima di mangiare; fare mattina e sera sciacqui alla bocca e gargarismi con acqua e tintura di iodio. Pulirsi regolarmente i denti; non sollevare polvere nelle case. Lavare il pavimento con disinfettanti”.

Dopo la pandemia del 1918, l’influenza ritorna al suo andamento abituale per tutti gli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta, fino al 1957, quando si sviluppa la nuova pandemia: l’Asiatica. In contrasto a quanto osservato nel 1918, le morti si verificarono soprattutto nelle persone affette da malattie croniche e meno colpiti furono i soggetti sani. L’epidemia non conquisterà le prime pagine dei giornali, ma Il Corriere dell’Informazione del 12 giugno 1957 dedicherà un titolo in prima pagina al Milan in quarantena probabilmente per epatite, con un virus preso (forse) in una vasca da bagno, quattro giocatori infettati – fra cui Juan Alberto Schiaffino – uno scudetto appena vinto, due partite ancora da giocare in campionato e una finale europea.

Si arriva così al 1969. Un anno difficile e straordinario durante il quale si incrociano le canzoni dei Beatles e quelle di Lucio Battisti, il drammatico gesto di Ian Palach e l’arrivo alla Casa Bianca di Richard Nixon, le immagini dell’uomo sulla Luna e le battaglie sindacali per le quaranta ore lavorative. Un anno di transizione che si chiude con la strage di Piazza Fontana e l’inizio della strategia della tensione. La “spaziale” – il nome che le fu dato era davvero il segno dei tempi – si abbatte sull’Italia un anno e mezzo dopo essere partita da Hong Kong. La città italiana più influenzata sarà, ancora una volta, Milano. Il 12 dicembre, giorno della strage di Piazza Fontana, il Giorno così descriveva la situazione generale: malati 1.004 tranvieri (e solo 21 vetture in strada nelle ore di punta), 40 vigili del fuoco su 540, 60 poliziotti su 3 mila. Assente dalla fabbrica della Innocenti il 25% degli operai. 

“Che cosa ci ha portato il Natale? Le solite cose: festoni colorati, pioggia e influenza. Una vera epidemia: 13 milioni di italiani a letto, un italiano su quattro; e cinquemila sono passati a miglior vita. Le strade, le fabbriche, gli uffici, i mercati si sono mezzi vuotati. A riempirsi sono stati gli ospedali: doppi letti dunque anche se le cliniche sono sempre le stesse. Quando Mao starnuta, dice un proverbio inglese coniato da poco, il mondo si ammala. Infatti l’epidemia di questo inverno è nata a Hong Kong nel luglio del 1968 ... Ha impiegato diciotto mesi per arrivare in Italia ma in compenso ci ha colti del tutto impreparati ... L’influenza non è pericolosa? E chi lo dice. Non bastano sciroppi e supposte, gocce e iniezioni che vengono dopo. Occorre fermare il virus prima che arrivi”, recitava un cinegiornale dell’epoca reso disponibile dall’Istituto Luce che sta girando molto in questi giorni.

Corsi e ricorsi storici, situazioni diverse ma accomunate da un’unica, fondamentale costante. Direbbe Vasco Rossi: “Siamo ancora qua, e già”…  L’Italia, il mondo, sono sopravvissuti alla Spagnola, all’Asiatica e alla Spaziale. Sopravviveranno, sopravviveremo anche al Coronavirus. Evitando comportamenti imprudenti e pericolosi, facendo ognuno di noi la nostra parte. “Ci si salva e si va avanti se si agisce insieme e non solo uno per uno”, magari, questa volta, riusciremo ad imparare questa unica, basilare lezione.