Nel 2019 sono aumentate, anche se di poco rispetto al 2018, le denunce di infortuni sul lavoro all'Inail (641.638, +0,1%), ma, soprattutto, sono aumentate in maniera ben più consistente le denunce di malattie professionali, passate da 59.585 nel 2018 a 61.310 nel 2019 (+2,9%). A testimoniarlo sono i dati della stessa Inail che descrivono un incremento del fenomeno tutto concentrato nel settore “industria-servizi”, mentre sia in agricoltura che nel pubblico (conto Stato) le denunce sono calate.

Per quanto riguarda la distribuzione territoriale delle denunce di malattia professionale, queste sono aumentate in tutte le aree del Paese, ad eccezione del Nord-Ovest. Per quanto riguarda le singole regioni è la Toscana a registrare il numero più alto di denunce (8.323), seguita dall'Emilia Romagna (6.581) e dalle Marche (6.077). Più indietro si trovano regioni ben più popolose come Lombardia (4.140), Lazio (3.965) e Sicilia (1.666).

Ma quali sono le malattie professionali più diffuse? Il maggior numero di denunce (38.492 nel 2019) sono relative a malattie del sistema osteomuscolare e del tessuto connettivo ed è qui che si concentra anche l'aumento rispetto al 2018, ma numeri consistenti si hanno anche per le malattie del sistema nervoso, le malattie dell'orecchio e dell'apofisi mastoide e le malattie del sistema respiratorio. Estremamente alto, infine, anche il numero di tumori denunciati come malattie professionali, ben 2.458.

“Sono numeri impressionanti e in costante aumento negli ultimi anni, ma certamente ancora notevolmente sottostimati rispetto alla realtà”, commenta Silvino Candeloro, dell'ufficio di presidenza dell'Inca, il patronato della Cgil. “Sottostimati per vari motivi – spiega –: in primo luogo perché le malattie professionali sono più difficili da riconoscere rispetto agli infortuni e possono avere una latenza lunga anche diversi anni, come nel caso dei tumori, che secondo recenti studi sono certamente molto più numerosi di quelli denunciati, si stima tra i 4.000 e i 20.000 l'anno. E poi – continua Candeloro – per un problema più strettamente culturale, che in questi anni di crisi si è andato acutizzando: la tendenza, insita nelle lavoratrici e nei lavoratori, di contrapporre e far prevalere il diritto al lavoro rispetto al diritto alla salute”.

Candeloro si riferisce alla tendenza, purtroppo ancora molto diffusa, a non denunciare la malattia professionale per paura di ripercussioni, fino alla perdita del lavoro stesso. “Su questo fronte c'è grande bisogno di fare chiarezza e una corretta informazione – sottolinea il dirigente Inca – perché in realtà denunciare una malattia professionale offre maggiori garanzie e tutele proprio nell'ottica della salvaguardia del proprio posto di lavoro. Ad esempio – continua Candeloro – laddove viene riconosciuta una patologia professionale, i giorni di malattia utilizzati dal lavoratore non vanno a comporto e quindi non può scattare il licenziamento per un eccesso di assenze”.

Anche il timore di essere giudicati inidonei alla propria mansione può essere un deterrente alla denuncia: “Ma anche qui – insiste Candeloro – oggi siamo in grado di tutelare e seguire i lavoratori sia in ambito giuridico che attraverso progetti di reinserimento, finanziati peraltro dalla stessa Inail. Sono strumenti poco conosciuti, utilizzabili anche dai lavoratori autonomi, sui quali come Inca stiamo lavorando con intensità”.

Dai dati emerge però un altro aspetto meritevole di approfondimento e cioè la evidente disomogeneità territoriale delle denunce di malattia professionale. “Effettivamente è chiaro che se la Toscana ha il doppio di denunce della Lombardia qualcosa non torna – commenta ancora Candeloro –. Sicuramente, il Centro Italia si dimostra più attento al fenomeno, ma mi piace sottolineare anche il dato della Sardegna, una regione nella quale, anche come patronato, abbiamo fatto un grande investimento sull'emersione del fenomeno, in competenze e professionalità”.

Professionalità come quelle dei medici legali, dai cui certificati parte tutto l'iter della procedura. L'Inca ha circa 250 medici convenzionati in tutta Italia, la cui esperienza e competenza in materia accresce notevolmente le possibilità di dimostrare il nesso causale della malattia professionale.

Perché il problema sta proprio qui: solo una parte – troppo piccola secondo il patronato – delle denunce registrare dall'Inail vengono poi accolte. “In Italia siamo intorno al 38% – spiega Candeloro –, ma in alcune regioni, per esempio nel Lazio, si scende addirittura sotto la soglia del 20% di accoglimenti. E questo è un problema, anche perché spesso ci troviamo di fronte a respingimenti le cui motivazioni non sono affatto chiare, ma portare avanti ricorsi o fare addirittura causa, come è facilmente intuibile, non è una cosa facile per i lavoratori”.

In conclusione, l'auspicio dell'Inca è che su questi dati e più in generale sul tema della salute e della prevenzione nei luoghi di lavoro si apra una riflessione anche da parte delle istituzioni e dei datori di lavoro. “Bisogna che cresca la convinzione del fatto che in Italia si può e si deve lavorare meglio, creando i presupposti per un maggiore benessere nei luoghi di lavoro – conclude Candeloro –. Serve uno sforzo importante sulla prevenzione, nella consapevolezza che non farlo ha un costo altissimo, non solo in termini di salute delle persone, ma anche economici”.