Ci sono 2.050 metalmeccanici in meno sul territorio ternano oggi rispetto al 2008, anno di inizio della crisi economica. Un calo drastico e preoccupante, tanto più in un settore che da solo pesa il 56% dell'intero manifatturiero nella provincia. Dagli ultimi dati disponibili, poi, i segnali sono tutt'altro che incoraggianti: la cassa integrazione straordinaria, quella che si utilizza nel caso di crisi e ristrutturazioni, è raddoppiata, passando da 110.000 a 220.000 ore. Una fotografia ‘drammatica’, l'ha definita Alessandro Rampiconi, segretario generale Fiom Terni, in una conferenza stampa che ha visto ‘l'esordio’ del nuovo gruppo dirigente delle tute blu della Cgil ternana.

“Stiamo perdendo lavoro a ritmi allarmanti e stiamo perdendo anche aziende storiche del territorio – ha detto il dirigente sindacale –. Aziende come la Elettroterni, che ha chiuso i battenti, mettendo in grave difficoltà 16 famiglie; come Semitec, 44 dipendenti a Terni e 300 in Italia, che la prossima settimana incontreremo al ministero per aprire le procedure per gli ammortizzatori sociali”.

Dunque, grande preoccupazione per il settore, che si alimenta ulteriormente se si sposta lo sguardo su Ast, l'azienda più importante della regione. “Siamo molto allarmati per quello che sta succedendo nelle acciaierie – ha detto ancora Rampiconi –, dove prosegue una strategia commerciale pericolosa e dove è in atto una fuga di professionalità, soprattutto quadri intermedi, che lasciano Terni per approdare spesso alla concorrenza, portando via dal territorio competenze preziose e professionalità”.

C'è il poi il nodo dell'approvvigionamento di bramme dall'Indonesia, che in quest'anno fiscale sta raggiungendo proporzioni eclatanti: “Lo scorso anno siamo arrivati a 18 mila tonnellate – hanno spiegato dalla Fiom di Terni –, ma oggi siamo già a 69 mila e se si continua così a fine anno supereremo le 100 mila tonnellate. Questo evidentemente comporta gravi rischi per l'area a caldo e per tutto il sistema degli appalti”.

Per la Fiom di Terni l'obiettivo deve essere il mantenimento del milione di tonnellate di ‘fuso’, architrave su cui si regge l'intero assetto impiantistico e occupazionale (2.350 dipendenti) di Ast: “Se la scelta è di continuare a importare le bramme dall'Asia – ha osservato ancora il sindacalista –, allora l'unica possibilità è quella di fare investimenti sul prodotto e sul processo, sia nella direzione della sostenibilità ambientale, sia, soprattutto, per potenziare l'area a freddo e consentire così il pieno funzionamento di tutti gli impianti anche nel caldo”.

Un messaggio che il sindacato ha naturalmente più volte rivolto al management di Ast, che però subordina ogni possibilità d'investimento alla vendita dei ‘gioielli di famiglia’ da parte di ThyssenKrupp, in particolare il settore Elevator. “Il problema è che i tempi non coincidono – ha detto ancora l'esponente Fiom –, perché, mentre aspettiamo lo svolgimento della strategia globale, l'azienda qui sta deperendo e perdendo pezzi troppo importanti”.

In tutto questo, non aiuta la situazione che sta vivendo lo stesso sindacato dentro Ast. “Da un anno e mezzo non si riunisce la Rsu – ha denunciato il sindacalista – e questo è un fatto senza precedenti nella storia delle acciaierie ternane. Abbiamo chiesto con forza, sia per le vie informali che per quelle formali, che il massimo organismo democratico della fabbrica, il Parlamento dei lavoratori, possa confrontarsi ed esprimersi in questa fase così delicata, ma, ad oggi, non abbiamo avuto risposta”.

“Per noi, i rapporti unitari in Ast sono fondamentali – ha concluso Rampiconi –, ma se non si riprenderà un'azione forte e congiunta della Rsu, siamo pronti ad avviare un percorso di mobilitazione, perché tra i lavoratori c'è grande consapevolezza e preoccupazione per il futuro della nostra fabbrica e non possiamo restare con le mani in mano”.