2020 è voglia di cambiamento. L’inizio di un nuovo decennio che ad Avellino, come in molte altre città del nostro Paese, si vorrebbe diverso dal passato. Ma per parlare di effettiva discontinuità dovrebbe esserci più lavoro. Qui sono tutti a dirlo.

Nell’ultimo secolo, decine di migliaia di persone sono emigrate dall’Irpinia verso il Nord Italia. Quasi tutte le famiglie hanno figli che sono andati via e parenti sparsi tra Stati Uniti, Canada e naturalmente resto d’Europa. Un fenomeno che appare inarrestabile come la depressione di questo territorio. Si andava alla ricerca di qualcosa di meglio ben prima del terremoto del 1980. Si è continuato a farlo dopo. E il saldo demografico è sempre più preoccupante. 

Solo nell’ultimo anno sono stati più di tremila i lavoratori attivi che hanno deciso di emigrare, tra questi Michela, da qualche anno laureata in economia e commercio. Il suo ragazzo ha trovato lavoro in Svezia, ci racconta il padre, titolare di una storica officina meccanica a ridosso del centro storico di Avellino, così lei ha deciso di seguirlo. "Quest’anno – sospira – per la prima volta non abbiamo passato le feste insieme. A Stoccolma si sono sistemati. Del resto è una sofferenza vederli sbattere a destra e a manca per un posto di lavoro che non arriva mai. In primavera però mi auguro di andare a trovarli”.

Antonello Alviggi, dipendente a tempo della Provincia, si occupa di opere di riassetto del territorio. È precario da 16 anni. “Una situazione mortificante: molti miei colleghi andranno in pensione senza essere stati stabilizzati”. Pochi giorni fa, a San Martino Valle Caudina l’esondazione del fiume ha letteralmente sollevato la piazza del paese. “Una frana ha ostruito il corso d’acqua, tombato dopo la prima guerra mondiale, e la pressione ha fatto letteralmente esplodere la pavimentazione, causando 5 milioni di euro di danni. Per Antonello “il lavoro sarebbe la chiave per la prevenzione”. Se gli chiedi cosa si augura per il prossimo anno, ti spiega prima quanto sia stanco di assistere allo scollamento crescente tra cittadini e politica. “Vorrei si smetta di correre dietro alle emergenze”. "La nostra - dice - è il non riuscire ad arrivare alla metà del mese".

L’Appennino è scenario di uno stillicidio di chiusure di aziende grandi e piccole, una di quelle a passarsela male è la Cellublok di Montoro. Antonio Casciello è il delegato sindacale della Fillea e, con i suoi 24 colleghi, fabbrica contrappesi per le lavatrici Whirlpool prodotte a Napoli. La loro vertenza ha meno risonanza rispetto a quella del sito partenopeo di elettrodomestici. “Ci fa rabbia sapere che la nostra è sempre stata una ditta sana. Avessimo almeno più tempo, potremmo trovare un nuovo impiego così come l’azienda nuove commesse. Nella realtà abbiamo una spada di Damocle sulla testa, insieme ai quasi mille lavoratori dell’indotto Whirlpool delle province di Avellino e Caserta”.

Non rimane molto da aggiungere quando dicono che per il 2020 si augurano semplicemente di lavorare. “Ma non dipende da noi”, aggiungono. “Possiamo solo aspettare che decidano. Nel frattempo ci sono famiglie, mutui, scuole, ragazzi da mantenere. Ma non possiamo arrenderci: chi non lotta ha già perso”. 

Una lotta impari è quella sostenuta dagli operai del distretto delle concerie di Solofra contro la globalizzazione. A parlare è Giuseppe De Stefano, delegato della Filctem: “Oggi il grosso delle lavorazioni si fa nei paesi dove la manodopera costa meno, come Cina, India e altri paesi emergenti. In Italia il costo del lavoro è più alto. Di conseguenza aumentano i prezzi e diminuisce la competitività. Qui una volta c’erano 120-130 aziende, oggi non è rimasto che il 10 per cento a produrre pelli. Gli altri sono contoterzisti.  Gli operai lottano per accaparrarsi quel po’ di lavoro che rimane. E non è positivo”. Secondo Giuseppe, per rilanciare il comparto bisognerebbe puntare su qualità e ricerca, invece,  aggiunge "il 2020 ci offre come prospettiva solo ammortizzatori sociali". 

Il pensiero di Fabio Colucci, rappresentante sindacale Fiom della Fca di Pratola Serra, va già al 2021, quando partirà la produzione di un nuovo motore per il Fiat Ducato. Iniziativa che non saturerà le linee. Intanto per le 1.800 tute blu la storia del prossimo anno è già scritta: “abbiamo firmato un accordo di cassa integrazione straordinaria fino al 21 ottobre prossimo. E arriveremo a Natale attingendo anche a quella ordinaria”. Lo stabilimento irpino produce per il 98 per cento motori diesel: senza una visione di lungo periodo e un’innovazione di processo incentivata, l’impianto rischia di restare marginale. Ancor più dopo la fusione con Psa.

Una risposta alla ex Fiat arriva però da Flumeri. Gli operai di quella che oggi si chiama Iia, Industria italiana autobus, non si sono mai rassegnati alla chiusura della Irisbus da parte di Sergio Marchionne. Hanno unito le forze con i colleghi della BredaMenarini di Bologna e convinto lo Stato che valesse la pena di investire in un’azienda cruciale per rinnovare il parco circolante. “Qui è stato fondamentale mantenere i cancelli aperti – mi racconta Silvia Curcio, una delle protagoniste della lunga stagione di lotta –. Per il prossimo anno dobbiamo continuare a essere propositivi e a stare sul pezzo". 

"Per non disperdere queste professionalità è necessario assumere giovani. Dobbiamo tramandare loro le nostre competenze, per continuare ad affermare l’eccellenza italiana del settore. È l’unica maniera per mantenere in vita il nostro territorio. Il lavoro è il nostro bene comune”, aggiunge. E quando la saluto le auguro buon anno e le do il nostro “in bocca al lupo”. Lei mi risponde fiera: “viva il lupo”, quello irpino.