La settimana che si apre è per ArcelorMittal piena di scadenze sia giudiziarie sia industriali. Inizia oggi (lunedì 16 dicembre) il cronoprogramma per lo spegnimento dell'altoforno 2, dopo l'ordine di esecuzione del giudice Francesco Maccagnano del 10 dicembre scorso, che ha rifiutato a Ilva in amministrazione straordinaria la proroga chiesta per gli ulteriori lavori di messa in sicurezza. Sembra ormai certo che martedì 17 dicembre verrà depositata al Tribunale del riesame l'impugnazione contro il no alla proroga, in modo che i giudici possano esaminarla già il 30 dicembre. Se il Riesame ribaltasse il verdetto di Maccagnano, dando a Ilva più tempo per i lavori, il cronoprogramma di fermata e spegnimento dell'impianto verrà subito stoppato.

Sabato 14 dicembre il custode giudiziario dell'area a caldo Barbara Valenzano ha tenuto la prima riunione con i tecnici di ArcelorMittal, i rappresentanti di Ilva in amministrazione straordinaria e gli avvocati riguardo allo spegnimento dell’altoforno 2. Il cronoprogramma è pronto e vede una serie di azioni progressive, a carico sia di ArcelorMittal sia dell'impresa Paul Wurth, che termineranno intorno al 20 gennaio con lo stop dell'impianto. Il custode Valenzano, inoltre, entro martedì 17 dicembre deve fare una relazione al giudice Maccagnano su tre aspetti: le modalità di custodia dell'impianto nel periodo che precede lo spegnimento; i tempi entro cui, ad altoforno spento, Ilva può adempiere alle prescrizioni della Procura del 7 settembre 2015 “allo stato non ancora adempiute”; l’implementazione di “ogni più utile modalità di custodia tale da assicurare che – a partire dal 14 dicembre 2019 – l'altoforno 2 non sia più utilizzato”.

La giornata di oggi (lunedì 16 dicembre), inoltre, vede anche l’incontro a Roma tra la multinazionale indiana, il negoziatore incaricato dal governo, il presidente Saipem Francesco Caio e i commissari di Ilva in amministrazione straordinaria. Si continua a trattare con l'obiettivo di arrivare a un accordo sulla nuova Ilva, quindi su un nuovo piano industriale. Il traguardo è ancora lontano, ma l’ottimismo sembra prevalere. “Noi partiamo dall'accordo che c'è già, firmato da tutti, che non prevede esuberi, ma investimenti e otto milioni di tonnellate di acciaio: quella è la base della discussione da cui partire”, spiega il segretario generale della Cgil Maurizio Landini, sottolineando che “va bene che ci sia un ingresso dello Stato e che ci siano anche progetti e programmi che ragionano su migliori e nuove tecnologie, ma deve essere chiaro a tutti che va salvaguardata l'occupazione”.

Sul fronte industriale, l'approdo cui punta il governo è quello di fare di Ilva un'acciaieria sostenibile, con una produzione che si basi su otto milioni di tonnellate annue e che abbia un mix impiantistico fatto dall'attuale ciclo integrale, rivisto e ammodernato, e dall'uso del preridotto di ferro e del forno elettrico. Questi ultimi proprio per ridurre le emissioni. Sul piano occupazionale, l’esecutivo intende salvaguardare al massimo gli attuali posti di lavoro (10.700 nel gruppo, di cui 8.200 a Taranto), minimizzare gli esuberi e ricorrere, per la gestione della crisi di mercato, ad ammortizzatori sociali come la cassa integrazione. L'operazione sarebbe infine sostenuta da una partecipazione pubblica in affiancamento ad ArcelorMittal.

Tornando alle vicende giudiziarie, è certo che all'udienza del 20 dicembre al Tribunale di Milano sarà chiesto al giudice un nuovo rinvio circa l'esame del ricorso cautelare urgente depositato da Ilva in amministrazione straordinaria. Con quest'atto, poco più di un mese fa, Ilva (in qualità di proprietaria degli impianti) si era opposta al recesso dal contratto di fitto notificato da ArcelorMittal. C’è già stata una prima trattazione del ricorso cautelare (ex articolo 700 del Codice di procedura civile) lo scorso 27 novembre: in quella sede gli avvocati chiesero un aggiornamento, poi stabilito dal giudice al 20 dicembre, dichiarando che era in corso una trattativa. Ma entro il 20 dicembre non si farà in tempo ad arrivare all'accordo, per cui c’è bisogno di altro tempo.