Oggi, venerdì 13 dicembre, per l'altoforno 2 dell'ex Ilva di Taranto potrebbe essere una data da segnare sul calendario. E’ la scelta di ArcelorMittal, dopo che martedì scorso il giudice Francesco Maccagnano ha rifiutato la proroga di nove mesi per effettuare gli ulteriori lavori di messa in sicurezza e ha fissato per domani la dead line. Da lunedì, quindi, si procederà all’arresto.

L'impianto non sarà definitivamente spento, perché non è tecnicamente possibile, ma sarà comunque l'avvio della procedura di blocco di tutte le operazioni che porteranno alla sua fermata, presumibilmente entro metà gennaio. "Non può svolgersi a partire dal 14 dicembre alcuna attività in contrasto con le esigenze cautelari sussistenti nel caso in specie" scrive il giudice nelle quasi due pagine dell'ordine di esecuzione. Il giudice afferma anche che "appare opportuno comprendere quali possano essere le modalità di custodia del bene in sequestro anteriori allo spegnimento dello stesso, le tempistiche residue del cronoprogramma di spegnimento dell'altoforno 2 (già avviato prima del 17 settembre 2019) e gli effetti che detta operazione può avere su tale impianto".

Il giudice chiede quindi al custode giudiziario dell'area a caldo del siderurgico, in carica dal sequestro di luglio 2012, anche di specificare entro lunedì tre elementi: le modalità di custodia dell'impianto nel periodo che precede lo spegnimento, i tempi entro cui, ad altoforno spento, Ilva può adempiere alle prescrizioni della Procura del 7 settembre 2015 "allo stato non ancora adempiute", nonché di implementare "ogni più utile modalità di custodia tale da assicurare che - a partire dal 14 dicembre 2019 - l'altoforno 2 non sia più utilizzato".

Il cronoprogramma ripartirà dal punto in cui è stato lasciato quasi tre mesi fa. Contro il diniego alla proroga espresso dal giudice il 10 dicembre, Ilva farà ricorso di nuovo al Tribunale del Riesame per bloccare per una seconda volta il processo di fermata e spegnimento.

Intanto oggi è in programma un nuovo incontro tra Ilva, negoziatore incaricato dal governo (il presidente Saipem Francesco Caio) e ArcelorMittal per proseguire il tavolo sul piano industriale e ambientale della "nuova" Ilva e cercare di fare un passo avanti verso l'intesa. Anche perché il 20 dicembre, giorno in cui si tornerà al Tribunale di Milano per la nuova udienza sul ricorso cautelare con cui la stessa Ilva vuole fermare il recesso dal contratto, è ormai alle porte.

Secondo quanto riportato da varie fonti di stampa, il governo ha quasi del tutto messo a punto il suo piano. La proposta, non ancora definitiva, è stata illustrata ieri ai sindacati dal ministro Patuanelli. L’obiettivo è trasformare l'ex Ilva in uno stabilimento "green", confermando la quota di produzione di acciaio a 8 milioni di tonnellate all'anno, la futura presenza dello Stato (e delle banche, mediante conversione crediti) nel capitale sociale, e la realizzazione di forni elettrici. Poco altro di concreto è emerso, al di là di rassicurazioni e critiche verso la scelta di ArcelorMittal sulla cassa integrazione per 3.500 unità definita “incomprensibile”. Qualcosa di più consistente, invece, è arrivato da un emendamento alla manovra con lo stanziamento di 150 milioni di euro in due anni per le aree di crisi complessa tra cui figura anche l'area di Taranto. Per la segretaria generale della Fiom, Francesca Re David, però, “non si conoscono le vere intenzioni della ditta e mi sembra che neanche il governo sia in grado allo stato attuale di saperlo”. Per quanto riguarda la cassa integrazione allargata, invece, nessuno spazio di manovra, perché “sarebbe dirompente” e “naturalmente la rifiutiamo”.