L'indirizzo è già tutto un programma: via Karl Marx numero 3. Siamo nella zona industriale di Città di Castello, in provincia di Perugia e forse anche il grande filosofo tedesco sarebbe contento di sapere che qui c'è una fabbrica “recuperata”, una fabbrica destinata a chiudere, visto che la proprietà aveva deciso di delocalizzare la produzione in Armenia, ma che non ha chiuso, grazie ai suoi lavoratori e allo strumento del workers buyout.

L'azienda prima si chiamava Ceramisia ed era controllata dal gruppo Italian Stoneware della famiglia Polidori, oggi si chiama Ceramica Noi, perché qui è il “noi” che ha vinto. Come è facilmente intuibile, dalla fabbrica di via Marx escono ceramiche, destinate in particolare al mercato americano e i clienti internazionali che c'erano prima ci sono ancora, il lavoro non manca.

“Quello che è successo è che siamo riusciti a trasformare un dramma in una bella storia – spiega Marco Brozzi, lavoratore e oggi presidente della cooperativa formata da 11 lavoratrici e lavoratori –. Di fatto a ottobre la proprietà ci ha comunicato l'intenzione di delocalizzare in Armenia e di licenziare tutti. Un colpo durissimo, che inizialmente ci ha gettati nello sconforto – continua Brozzi –, ma poi, grazie al consiglio di una persona che non ringrazieremo mai abbastanza, Enrico Flamini, ci siamo rivolti alla Cgil di Città di Castello, alla Filctem Cgil e alla Lega Coop. Ed è partito un lavoro di squadra straordinario”.

Brozzi spiega come il sindacato abbia gestito la transizione dalla vecchia proprietà alla nuova cooperativa, con accordi che hanno garantito i lavoratori, e come la Lega Coop li abbia accompagnati nell'esperienza del workers buyout che non conoscevano. Ma a fare la differenza è stato soprattutto il coraggio delle lavoratrici e dei lavoratori che hanno deciso di investire su loro stessi, di unirsi in cooperativa e fondare Ceramica Noi, investendo 180 mila euro, frutto dei tfr e delle indennità di licenziamento, comprando i macchinari utilizzati dalla vecchia proprietà e affittando il capannone.

Stiamo vivendo un'esperienza bellissima – racconta Samuela Marzà, lavoratrice e socia di Ceramica Noi – perché la mattina ci svegliamo sapendo che quello che facciamo è per noi stessi e per gli altri lavoratori. Noi abbiamo sempre lavorato sodo, ma adesso c'è un orgoglio e una forza in più che ci deriva dalla nostra unità, consapevoli che dovremo fare sempre di più e sempre meglio”.

In fabbrica questo nuovo clima si respira appena entrati. All'ingresso c'è un pannello con un collage di foto che raccontano l'impresa e una scritta che è diventata lo slogan dei lavoratori e pure un tatuaggio sulle braccia di chi lavora: “Tutti per uno, un sogno per tutti”.

“Qui a Ceramica Noi abbiamo un esempio concreto di cosa significa battersi davvero, mettendo in gioco se stessi e le proprie famiglie, per far sì che il lavoro resti in Umbria – commenta Filippo Ciavaglia, segretario generale della Cgil di Perugia –. E sarebbe bene che le nostre istituzioni, a partire dalla nuova giunta regionale, venissero qui, in questa fabbrica, a toccare con mano cosa significa creare lavoro nel nostro territorio. Qui l'imprenditore se n'è andato per fare profitti con il made in Italy in Armenia, ma il lavoro è rimasto e ha dato a tutti una grande lezione”.