Ci sono alcuni primi timidi segnali che possono far pensare alla possibilità di riprendere una trattativa, ma è ancora molto poco per raddrizzare il piano inclinato su cui è stata messa la vicenda dell'ex Ilva in ragione di un atteggiamento in qualche modo contraddittorio e incauto del governo”. Questo, a oggi, il giudizio di Gianni Venturi, segretario nazionale della Fiom e responsabile siderurgia, sulla vicenda impervia e infinita che riguarda l’ArcelorMittal. Venturi ha incontrato la redazione di Rassegna Sindacale per discutere la situazione tarantina, mettendola però in relazione a quanto avviene su scala globale nel settore dell’acciaio. “Da questo punto di vista – spiega – non possiamo tralasciare un fatto fondamentale: in queste ore ArcelorMittal ha appena concluso, in joint-ventures con Nippon Steel, l'acquisizione di una grande acciaieria come Essar Steel India. Si tratta di una coincidenza quantomeno singolare col fatto che il governo indiano ha appena annunciato che il paese farà un investimento di 1,4 trilioni di dollari in infrastrutture, il 60 per cento delle quali è rappresentato da ponti d'acciaio”. 

Insomma, la questione ArcelorMittal, al di là dei risvolti giudiziari, non si può comprendere se non la si colloca in uno scenario globale. Il gruppo prova a disinvestire in Italia per spostare le sue risorse su altri mercati più ricchi...

Venturi Non c'è dubbio che sulla vicenda pesano le questioni relative all'andamento dell'acciaio sul mercato globale che fa registrare un oggettivo calo della domanda. Scontiamo una condizione molto complicata, in particolare per i rapporti tra Cina e Stati Uniti che nel marzo del 2018 hanno introdotto un dazio del 25 per cento sull’acciaio cinese. In più, ha un forte rilievo anche la relativa contrazione della domanda interna della Cina stessa. Questa pressione si è naturalmente riversata sull’Europa e da questo punto di vista va segnalata la scarsa capacità dell’Unione di darsi un’adeguata protezione commerciale. Come è stato possibile, ad esempio, che nell'arco di due anni paesi come la Turchia e l'Indonesia arrivassero a quintuplicare le esportazioni di acciaio in Unione europea? Molto significativo anche l’aumento delle importazioni di acciaio in Europa dalla Russia e, ovviamente, dalla Cina stessa. L’acciaio sconta dunque una sovracapacità produttiva di carattere strutturale che è questione complicata da affrontare perché impone una ridefinizione degli assetti complessivi su scala globale, con un orientamento dei grandi gruppi che tendono, così come in altri settori, a concentrarsi fortemente anche dal punto di vista degli assetti proprietari. Bisogna fare un salto in avanti non solo sul piano dei volumi produttivi, ma anche su quello della qualità della produzione.

Questo è lo scenario globale. Ma quanto influisce, sulla vertenza ArcelorMittal, la tradizionale debolezza italiana che da anni manca di una seria politica industriale? 

Venturi Credo che occorra fare una riflessione di fondo su cosa ha significato per questo Paese la fase delle privatizzazioni. Nel '95 abbiamo avuto la privatizzazione del settore dell'acciaio con il passaggio ai Riva di quello che allora era l’Italsider. Ma come è avvenuto questo processo? Si è fatto l’errore di mettere sullo stesso piano chi produceva l'acciaio con chi produceva i panettoni: è mancata cioè una politica industriale in grado di selezionare obiettivi e scelte in ragione di una premessa necessaria. E cioè: non si può continuare a dire di voler essere la seconda potenza manifatturiera d'Europa senza avere in casa la produzione dell’acciaio.

Ed è quello che sta accadendo?

Venturi Se chiude l’Ilva, se chiude anche la Ferriera di Servola a Trieste, dopo che abbiamo già spento gli altoforni a Cornigliano e a Piombino, non avremmo più nel nostro paese una produzione di acciaio a ciclo integrale.

E perché è così grave?

Venturi Semplice: senza il ciclo integrale la nostra industria dipenderebbe dalle importazioni o dall'andamento sul mercato del prezzo del rottame, necessario per produrre acciaio da forno elettrico. Mancherebbe un elemento di flessibilità all’interno della struttura produttiva.

Quali sono i rischi concreti che corriamo come sistema Paese? 

Venturi Beh, credo sia sufficiente il dato comunicato dallo Svimez: Taranto vale da sola l’1,4 per cento del Pil. Ma non è solo questo. Ciò di cui non si tiene conto è che tutto il settore metalmeccanico dipende in maniera decisiva dalla fornitura dell’acciaio. Stiamo parlando di un prodotto che rappresenta la leva fondamentale di uno degli assi portanti del modello di sviluppo di questo Paese. Il livello di devastazione che produrrebbe un’ipotesi del genere non voglio nemmeno prenderlo in considerazione. Le ricadute nell'approvvigionamento in settori quali l'automotive e meccanica sarebbero devastanti. Il Paese si troverebbe a poter produrre acciaio solo in alcuni stabilimenti al Nord e con i forni elettrici, ma mancherebbe quasi l'80 per cento della produzione nazionale di laminati piani. A quel punto si dovrebbe ricorrere massicciamente alle importazioni, a prezzi naturalmente molto più alti.

È uno scenario plausibile?

Venturi Come ho detto, si tratta di una prospettiva che non voglio nemmeno prendere in considerazione, ma che a oggi non è totalmente da escludere.

L’intervento di Mattarella è stato importante…

Venturi Direi che la sua disponibilità è stata straordinaria e dimostra la consapevolezza che siamo di fronte a una situazione del tutto eccezionale e in una fase delicatissima della vertenza. L'amministratore delegato di ArcelorMittal Lucia Morselli infatti conferma che il gruppo è dentro alla procedura ex articolo 47 che ha avviato il 4 novembre con le motivazioni che sappiamo: e cioè che sarebbero cambiate le condizioni e i vincoli legati al contratto d'affitto con obbligo d'acquisto. Quindi, se non intervengono fatti nuovi, dal 5 dicembre ArcelorMittal non c’è più. Il tema per noi, al di là della vicenda giudiziaria che si muoverà per canali propri, resta l'accordo del 6 settembre 2018 siglato con l’azienda. 

Facciamo un po’ di chiarezza sul tema dello scudo penale...

Venturi Su questo hanno assunto una posizione molto equilibrata. Lo scudo penale è stato introdotto per via legislativa nel 2015 e, va sottolineato, non fa parte dell'accordo negoziato con il gruppo e firmato il 6 settembre. Si tratta di una norma che interveniva a sostegno di un processo di ambientalizzazione delle produzioni, introducendo non un criterio di immunità – o peggio ancora di impunità penale –, ma di tutela legale nel momento in cui si era chiamati a realizzare, appunto, un’opera di ambientalizzazione. Ma qualcuno dimentica che quello di Taranto è uno stabilimento sotto sequestro, cioè la magistratura è già intervenuta.

E quindi?

Venturi Secondo noi, e lo abbiamo detto, bisogna introdurre una norma di carattere generale, ma circoscritta alle prescrizioni e ai tempi che ciascuna autorizzazione integrata ambientale prevede in situazioni simili. Detto questo, è bene ribadire che ArcelorMittal non ha acquistato da un privato, ma si è aggiudicata una gara ad evidenza pubblica internazionale sulla scorta di un bando al quale ha partecipato un’altra cordata. Non solo: hanno vinto sulla scorta di un piano industriale ambientale e occupazionale di cui l’accordo sindacale del 6 settembre 2018 è parte integrante. È evidente che il gruppo non può pensare di rimuovere quegli impegni e quei vincoli come se si trattasse di una normale operazione di acquisizione da privati.

Altro aspetto: c’è chi sostiene che questo epilogo era già calcolato da ArcelorMittal, che avrebbe acquistato l’ex Ilva solo per acquisire quote di mercato. È uno scenario plausibile secondo te questo?

Venturi Mi sembra veramente difficile dirlo. Per poter acquisire una capacità installata di 10 milioni di tonnellate di acciaio il gruppo franco-indiano ha dovuto passare per un esame molto severo dell’antitrust europeo che lo ha obbligato a cedere una pari capacità installata in Europa, tra cui un impianto anche a Piombino. Sia chiaro, non sono una confraternita di frati, la loro è una logica del profitto e giocano in campo internazionale su processi di concentrazioni e dismissioni. È certamente possibile che, in ragione di una flessione della domanda di acciaio particolarmente acuta in questi ultimi mesi e dell'alibi fornito ad ArceloMittal con la cancellazione delle tutele legali, siano giunti alla decisione che tutto sommato uscire convenga. Ma ho qualche perplessità nel pensare che avessero in mente uno schema di questo genere all’inizio. Anche se le notizie di queste ore sulle acquisizioni in India sollevano legittimi dubbi.

Qualcuno ipotizza una nazionalizzazione, in caso di uscita di ArcelorMittal: cosa ne pensi?

Venturi Bisogna far tesoro di esperienze e modelli di altri paesi che offrono un grado di protezione maggiore alle proprie imprese e al lavoro. Penso alla tedesca Fraunhofer: l'istituzione che di fatto orienta le politiche industriali della Germania e nella quale sono rappresentati governo, imprese e università. Si tratta di un modello di codeterminazione che da noi non è importabile dall’oggi al domani, anche se sarebbe utile iniziare a ragionarci. Ciò non toglie che si potrebbe pensare per esempio a un partenariato con Cdp, o a un prestito ponte finalizzato ad ambientalizzazione e innovazione. Si può fare, non ci sono elementi che lo impediscono. Sullo specifico della “nazionalizzazione” dico solo questo: qualcosa del genere c’è già stata per tutto il periodo dell’amministrazione straordinaria, che però a lungo non reggerebbe. Difficile pensare che l’ex Ilva possa andare avanti senza una partnership industriale importante e con capacità di intervento. 

La soluzione auspicabile è che ArcelorMittal rimanga a Taranto, non per via giudiziaria ,ma con una prospettiva industriale. Se malauguratamente non ci si riuscisse, per non far “spegnere” Taranto cosa bisognerebbe fare? 

Venturi La cosa più realistica è una fase di transizione nella quale tutto torni in capo all’amministrazione straordinaria, con i commissari che gestiscono l’impianto. Ovviamente resterebbe sempre da sciogliere il nodo delle tutele legali. Nel frattempo, se si dovesse consolidare la disponibilità di Cassa depositi e prestiti, cercare – come detto prima – una partnership industriale.

Per ora però, più che riflettere su temi di politica industriale, pare che il governo stia privilegiando la via giudiziaria...

Venturi La contestazione del recesso dal punto di vista del diritto ha una sua logica, un suo fondamento. Però, mentre le procure indagano, e nel Paese si assiste a un dibattito a tratti surreali, quello che non si dice è che a Taranto stanno finendo le materie prime. E se finisce la materia prima, l’altoforno si spegne, a prescindere dagli interventi di un magistrato o di un presidente del Consiglio. Perciò non possiamo attendere la via giudiziaria, bisogna garantire immediatamente l'approvvigionamento. E attenzione: non stiamo parlando della bottega sotto casa. Dal momento in cui si fa un ordine, una nave impiega dai 30 ai 35 giorni per scaricare a Taranto, e non abbiamo tantissimo tempo davanti. Siamo all’emergenza: dev’essere chiaro che se la fabbrica si spegne, non si riaccende. E Taranto senza l’area a caldo non esiste più. 

Secondo te è ipotizzabile, come pure qualcuno sostiene, uno stabilimento siderurgico a Taranto senza area a caldo?

Venturi È una pia illusione. Lo stabilimento senza ciclo integrale chiude: non serve a nessuno lasciare in vita i due laminatori a freddo, perché la scala dell’impianto non lo giustifica. Non regge neppure l’ipotesi di sostituire l’area a caldo con i soli forni elettrici, perché ne servirebbero almeno 10-15 per mantenere l'attuale capacità produttiva installata. Purtroppo a volte chi parla non ha la percezione di questi dati.

Chi dovrebbe pensare all’approvvigionamento delle materie prime?

Venturi ArcelorMittal. Se è vero com’è vero che tutti dicono di voler garantire la centralità del sistema siderurgico, allora qualcosa bisogna fare. Un’ipotesi è che il governo dia ordine al prefetto di Taranto, attraverso il ministero degli Interni, di intimare ad ArcelorMittal di procedere con l’ordine immediato, per poi eventualmente pensare a una partita di giro, magari attraverso uno sconto sull’affitto.  Ma, con le procure che indagano su un'ipotesi di reato di danno all’economia nazionale, è difficile. 

Ovviamente quando si parla di Taranto pesa una forte ipoteca ambientale. È una città particolare, scossa da un tema sensibile, che divide. C’è chi sostiene che non si può produrre acciaio a Taranto senza recare danno ai cittadini e a chi ci lavora. È davvero così?

Venturi È così e il conflitto non divide sono l’opinione pubblica, ma anche la coscienza individuale dei lavoratori che la mattina entrano in fabbrica e quando escono, la sera, devono misurarsi con una contraddizione insanabile, cioè la salute propria e delle persone vicine. È un tema che non può essere banalizzato, né marginalizzato. Tuttavia la sfida su come rendere compatibile ambiente e produzione è stata vinta in tanti altri Paesi europei sulla base delle scelte dei rispettivi governi e delle imprese. Non si capisce perché qui da noi non si possa fare. In quei Paesi hanno realizzato investimenti utilizzando le migliori tecnologie disponibili per ridurre l’inquinamento e ci stanno riuscendo, anche se ovviamente non si è ancora azzerato del tutto.

Ma qualcosa a Taranto è stato già fatto o stiamo all’anno zero?

Venturi Non siamo affatto all’anno zero. Come previsto nell’accordo del 2018, abbiamo ottenuto la copertura dei parchi minerari, cosa che risponde in maniera definitiva al tema dell'inquinamento da polveri. Ovviamente c’è da fare ancora molto per quel che riguarda le emissioni. In questo caso si è finalmente arrivati alla conclusione di dover installare i filtri a manica, i cosiddetti “meros”, che da un punto di vista tecnologico sono i migliori disponibili sul mercato. Resta naturalmente sullo sfondo il grande tema che riguarda la ricerca di soluzioni che possano ridurre significativamente la quantità di carbone che si utilizza. Ma anche qui bisogna essere chiari: il carbone non entra solo nel processo produttivo, è un elemento costitutivo dell'acciaio, con una percentuale che varia dall’1 al 4 per cento. Sappiamo che la sua presenza si può ridurre, sia nel processo, sia nel prodotto, però possiamo farlo solo attraverso un percorso molto lungo e un presupposto: l'impianto deve funzionare ed essere in marcia, altrimenti ci troveremmo nella stessa situazione nella quale si è trovata Bagnoli. E in questo caso parole come “decarbonizzazione” e “ambientalizzazione” farebbero rima con “deindustrializzazione”.

(Al forum hanno partecipato: Emanuele Di Nicola, Roberto Greco, Stefano Iucci, Maurizio Minnucci, Carlo Ruggiero)