Aggiornato alle 15.32

ArcelorMittal Italia ha avviato formalmente la procedura per restituire ai commissari gli stabilimenti dell'ex Ilva, acquisiti nel 2018. L'azienda ha presentato al Mise e per conoscenza ai commissari la richiesta di avvio della cessione del ramo d'azienda che coinvolgerà 12 siti per un totale di 10.777 dipendenti del perimetro aziendale oggetto di trasferimento ai commissari. La retrocessione dei rami d'azienda e il conseguente trasferimento dei lavoratori avverrà entro 30 giorni dalla data del recesso di A. Mittal. È quanto si legge nella comunicazione presentata oggi dal gruppo franco-indiano, in base a quanto prevede l'articolo 47 della legge 428/ 90.

Immediata la reazione della Fiom Cgil, che ha confermato lo stato di agitazione in tutti gli stabilimenti: “Apprendiamo la decisione aziendale di dare formale avvio alla procedura di cessione di ramo d'azienda ex articolo 47, che prevede il trasferimento degli stabilimenti e di tutti i dipendenti ai commissari straordinari - rende noto Francesca Re David, segretario generale dei metalmeccanici Cgil -. In attesa di conoscere l'esito del delicato incontro tra Governo e proprietà, permane lo stato di agitazione in tutto il gruppo ArcelorMittal. Le modalità delle iniziative di sciopero e della mobilitazione verranno decise nelle prossime ore, insieme alle rappresentanze sindacali dei diversi stabilimenti. Per la Fiom "è necessario l'integrale rispetto dell’accordo da parte del governo e dell'azienda ed è inaccettabile qualsiasi ipotesi di ridimensionamento occupazionale di tutti gli stabilimenti del gruppo”. 

Era un atto annunciato e temuto, che mette in salita il percorso di una giornata già non semplice. Si è tenuto infatti oggi (mercoledì 6 novembre) l'atteso incontro tra governo e ArcelorMittal, dopo che la multinazionale indiana ha annunciato il ritiro dalla ex Ilva di Taranto. L'appuntamento era fissato alle ore 11 a Roma, presso la sede di Palazzo Chigi, per l'esecutivo presenti il premier Conte e il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli. Il vertice è durato oltre tre ore. Nel pomeriggio di martedì 5, l’amministratore delegato di ArcelorMittal Italia Lucia Morselli ha confermato ai segretari generali territoriali di Fiom Cgil, Fim Cisl, Uilm Uil e Usb la volontà di recedere dal contratto per l'acquisizione della società. Sempre nel capoluogo jonico, intanto, il consiglio di fabbrica ha deciso di dare vita oggi “a un presidio vicino la direzione, lasciando il consiglio di fabbrica permanente”. Giovedì 7, infine, alla Camera dei deputati si terrà (alle ore 14) l'informativa sulla vicenda del ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli.

“Sono fiducioso, la linea del governo è che i patti vanno rispettati e che non ci sia alcuna giustificazione per sottrarsi agli impegni contrattuali. Ci confronteremo e il governo è disponibile a fare tutto il necessario e il possibile perché ci sia da parte della controparte il rispetto degli impegni”. Lo ha affermato il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, prima di recarsi a Palazzo Chigi.

“È utile che il governo corregga un'evidente forzatura di utilizzo politico di una vicenda delicata e complessa come quella dell’ex Ilva. Quella norma sullo scudo era stata oggetto di confronto nel momento in cui era stato fatto l’accordo. E ricordo che quel che è stato fatto nei confronti di ArcelorMittal in passato è stato fatto anche per i commissari che hanno gestito l'Ilva per anni”. A fare il punto sugli ultimi sviluppi del caos Ilva è il segretario generale della Cgil Maurizio Landini in una intervista all'Huffington Post. “È una norma logica: chi arriva è responsabile di quello che fa da lì in avanti e non prima. Penso che il governo sia nelle condizioni di trovare una soluzione soddisfacente. È chiaro che in Parlamento c’è stata una strumentalizzazione politica”, spiega l'esponente sindacale: “Con Cisl e Uil abbiamo chiesto al governo di togliere ogni alibi ad ArcelorMittal. Non le si può permettere di dire che deve terminare la produzione a causa di un clima ostile da parte della politica e della magistratura. Dalla società ci aspettiamo che chiarisca le sue intenzioni, dica che non se ne vuole andare e che intende mantenere gli impegni sottoscritti sia per il piano industriale che ambientale”.

LA POSIZIONE DI ARCELORMITTAL
La situazione è precipitata lunedì 4 novembre in seguito alla nota della multinazionale in cui riferiva di aver inviato ai commissari straordinari “una comunicazione di recesso dal contratto o risoluzione dello stesso” riguardo all'affitto e al successivo acquisto condizionato dei rami d'azienda di Ilva e di alcune sue controllate. ​Il gruppo ha ricordato che il contratto prevede che la società possa recedere dallo stesso nel caso in cui un nuovo provvedimento legislativo incida sul piano ambientale dello stabilimento di Taranto, in misura tale da rendere impossibile la sua gestione o l'attuazione del piano industriale. La multinazionale aveva acquisito l'ex Ilva con una gara nel giugno 2017, subentrando nella gestione all'amministrazione straordinaria nel novembre 2018, assumendo complessivamente 10.700 persone (di cui 8.200 a Taranto).

Come viene spiegato nell'atto di citazione depositato al Tribunale di Milano nei confronti dell'Ilva in amministrazione straordinaria, nel mirino di ArcelorMittal c'è il provvedimento con cui, dal 3 novembre 2019, il Parlamento italiano “ha eliminato la protezione legale necessaria alla società per attuare il suo piano ambientale senza il rischio di responsabilità penale, giustificando così la comunicazione di recesso”. Nell'atto di citazione, dunque, ArcelorMittal chiede “lo scioglimento del contratto per il venir meno di un suo presupposto essenziale”, ovvero la protezione legale. L'immunità, infatti, “ha costituito fin dall'inizio un presupposto imprescindibile dell'operazione, dalla partecipazione di Am InvestCo alla procedura competitiva fino alla conclusione ed esecuzione del contratto”.

Per ArcelorMittal l'esecuzione del contratto “è divenuta impossibile” e non basterebbe neanche ripristinare lo scudo penale. In aggiunta, si legge ancora nella nota aziendale, i “provvedimenti emessi dal Tribunale penale di Taranto (lo spegnimento dell'altoforno 2 disposto dalla magistratura, ndr) obbligano i commissari straordinari di Ilva a completare talune prescrizioni entro il 13 dicembre 2019. Tali prescrizioni dovrebbero ragionevolmente e prudenzialmente essere applicate anche ad altri due altiforni dello stabilimento di Taranto (altiforni 1 e 4). Lo spegnimento renderebbe impossibile per la società attuare il suo piano industriale, gestire lo stabilimento di Taranto e, in generale, eseguire il contratto”.

ArcelorMittal ha infine evidenziato che “altri gravi eventi, indipendenti dalla volontà della società, hanno contribuito a causare una situazione di incertezza giuridica e operativa che ne ha ulteriormente e significativamente compromesso la capacità di effettuare necessari interventi presso Ilva e di gestire lo stabilimento di Taranto”. Secondo il gruppo tutte queste circostanze “attribuiscono alla società anche il diritto di risolvere il contratto in base agli applicabili articoli e princìpi del Codice civile italiano. In conformità con il contenuto del contratto la società ha chiesto ai commissari straordinari di assumersi la responsabilità per le operazioni e i dipendenti entro 30 giorni dalla loro ricezione della predetta comunicazione di recesso o risoluzione”.

LE REAZIONI
Per il segretario confederale della Cgil Emilio Miceli “Taranto e l’Italia non possono pagare il prezzo di un contenzioso infinito tra ArcelorMittal e governo. Mai come in questo caso il futuro dipende dal presente, c’è bisogno dell’impegno di tutti per evitare un disastro: l’azienda si fermi e l'esecutivo tenga fede agli impegni presi e ristabilisca le condizioni dell’accordo”. L'esponente sindacale rileva che “in nessuna area del Mezzogiorno che ha vissuto grandi dismissioni industriali c’è mai stata traccia di sviluppo industriale, urbanistico e ambientale. Da Crotone a Termini Imerese, il Sud ha conosciuto solo sopportazione e assistenza, mai sviluppo e modernizzazione. Taranto dispone di un progetto importante di riqualificazione, di risorse pubbliche e private. Evitiamo quindi di disperdere questo patrimonio, che rappresenta un’opportunità di costruire attorno alla ex Ilva quel progetto di ampio respiro e di ambientalizzazione di cui c’è bisogno, altrimenti sarà un salto nel buio”. Miceli, in conclusione, ha invitato il governo “a fare i passi necessari e l’azienda ad agire di conseguenza”.

“Siamo molto preoccupati per il rispetto del piano industriale, occupazionale e ambientale all'ex Ilva. Da tempo chiedevamo una verifica. La questione dell'immunità offre un alibi: non fornire un quadro legislativo certo è l'opposto di fare politica industriale”. A dirlo è la segretaria generale della Fiom Cgil Francesca Re David: “Mi preoccupa che la discussione sia misurare chi ha ragione da un punto di vista giuridico: penso che il governo abbia fatto un errore e a volte riconoscere gli errori è un fatto positivo, significa togliere l'alibi all'azienda”. Secondo Re David, il governo deve “chiamare l'azienda al tavolo e chiedere il rispetto degli accordi, altrimenti è a rischio non solo l'Ilva ma anche tutta l'industria del Paese, visto che l'acciaio è il settore primario del manifatturiero e noi siamo il secondo Paese manifatturiero d'Europa. Vorremmo capire, perciò, se vogliamo continuare a esserlo o meno”. 

Enorme la preoccupazione anche della Cgil Puglia. “Siamo alle solite: un'azienda che rimarca gravi responsabilità nei propri atteggiamenti, un governo che non è lineare nelle proprie scelte, le conseguenze sono per i lavoratori e i cittadini di Taranto, vittime sacrificali del rimpallo tra governo e azienda in quella che rischia di essere una bomba sociale”, commenta il segretario generale Pino Gesmundo: “Il governo spaventa le aziende perché non è coerente con le scelte che assume, perché con il Conte 1 aveva dato l'immunità, ma con il Conte 2 l'ha tolta. È un problema che riguarda sicuramente l'ex Ilva, ma riguarda tutti coloro che vorranno venire a investire in Italia”. Gesmundo invita impresa e governo “a rispettare gli accordi già presi che consentono, non senza responsabilità sul mantenimento dei livelli occupazionali e impegni di investimento sulla compatibilità ambientale, di affrontare una situazione in cui sono in gioco il diritto al lavoro e alla salute dei cittadini tarantini”.

Netta la presa di posizione di Confindustria. “La vicenda è emblematica e consegue a una scelta fatta in Parlamento, nelle scorse settimane, di revocare uno dei punti qualificanti del contratto che l'investitore aveva firmato con lo Stato italiano. Mi auguro che, chi deve, capisca quali sono le conseguenze di scelte irragionevoli e non meditate”. Così il direttore generale Marcella Panucci: “I continui cambiamenti di norme, gli interventi a gamba tesa sulle norme penali, l'instabilità del quadro non solo non attraggono investimenti, ma fanno scappare quelli che ci sono”.