Ho particolarmente apprezzato l'intervento, all'inaugurazione dell'anno accademico, di Alberto Rosada, presidente del consiglio degli studenti. L'ho ascoltato dal vivo e credo che la sua capacità di tenere insieme temi di più stretto interesse di chi frequenta l'università e questioni di ampio respiro - come le politiche migratorie e il rispetto dei diritti umani dentro e fuori i nostri confini - confermi come le ragazze e i ragazzi italiani non si rassegnino a vivere in un mondo dove crescono le diseguaglianze, dove intere popolazioni sono consegnate alla guerra, al terrorismo, alla dittatura, alla fame, nell'indifferenza e nell'ostilità della parte più ricca del pianeta che, mentre, a parole, sostiene di 'volerli aiutare a casa loro', sfrutta senza scrupoli le risorse di interi continenti. Un mondo dove si riducono gli spazi di democrazia e diminuiscono le opportunità per le nuove generazioni.

Loro, il mondo vogliono cambiarlo, e per fortuna. Se anche gli studenti perdessero la speranza di riuscirci, la voglia di provarci, vorrebbe dire che davvero tutto è perduto, che ci aspetta un tempo che legittima solo i sentimenti della rabbia e della rassegnazione. Del resto, l'università di Padova ha una lunga tradizione a cui s'ispira, e non è certo un caso che la strada che conduce al Palazzo del Bo' ricordi la rivolta dei cittadini e degli studenti che l'8 febbraio del 1848 si ribellarono alla dominazione austriaca.

Alberto, dopo aver denunciato la miopia di politiche che non scommettono sull'istruzione e sulla cultura come formidabili veicoli di emancipazione, di crescita, di realizzazione, ha ricordato due figure che hanno - anche da un punto di vista simbolico - rappresentato drammaticamente le ingiustizie di questa fase storica. Giulio Regeni, un dottorando, che è stato ucciso da un regime liberticida, come quello egiziano, per voler svolgere fino in fondo il suo lavoro intellettuale, e Prince Jerry, un ragazzo di 25 anni, laureato in chimica, che si è suicidato, probabilmente perché non ha visto la possibilità di regolarizzare la sua posizione nel nostro Paese.

Abbiamo perso due ragazzi dalle enormi potenzialità, che avrebbero potuto arricchire le nostre comunità, che avrebbero potuto contribuire alla crescita e all'intelligenza collettiva della nostra società. Ne consegneremo altri alla clandestinità, allo sfruttamento, in non pochi casi alla criminalità, per effetto di un provvedimento che andrebbe ribattezzato 'decreto insicurezza'. Una legge che alza un muro nei confronti di chi fugge da sofferenze indicibili, condizioni di vita che nessuno di noi considererebbe accettabili.

Di fronte a un intervento ispirato e profondo, la reazione scomposta dell'assessore regionale leghista Roberto Marcato risulta davvero incomprensibile. Forse, per un attimo, ha dimenticato il contesto in cui si trovava: un tempio della cultura europea, in cui i valori dell'apertura, dell'accoglienza, del confronto virtuoso fra culture diverse sono stati affermati fin dalla fondazione e hanno resistito in fasi molto più difficili di questa. Un ateneo, dove hanno insegnato alcuni dei più grandi costituzionalisti italiani, come Livio Paladin, instancabili educatori di migliaia di ragazze e di ragazzi ai valori di uguaglianza e di solidarietà sanciti dalla Carta di un altro 48, questa volta del '900. Un luogo allergico al pensiero unico, dove la libertà di espressione si esercita senza chiedere il permesso al potente di turno e la censura è l'unica a non avere diritto di cittadinanza.

Aldo Marturano è segretario generale della Cgil Padova