A leggere certe didascalie della mostra fotografica “Il Sorpasso. Quando l’Italia si mise a correre, 1946-1961” – promossa dal Comune di Roma e ospitata al Museo di Roma (Palazzo Braschi) dal 12 ottobre 2018 al 3 febbraio 2019 – si resta allibiti. All’inizio del percorso colpisce l’accostamento di due immagini: nella prima un sacerdote in tonaca si rivolge a un uditorio composto prevalentemente di donne in cravatta (forse collegiali o appartenenti a qualche associazione cattolica); la seconda mostra, in primo piano davanti a un microfono, un signore con il cappotto, dalla cui tasca spunta l’Unità.

L’estensore della didascalia evidentemente ignora che quel signore è Claudio Cianca, prestigioso dirigente della Cgil, parlamentare comunista, nobile figura di antifascista che ha patito 10 anni nelle carceri di Mussolini. Il bizzarro accostamento tra un’istantanea dove si vedono oratore e pubblico e un’altra dove si vede soltanto il volto dell’oratore ha suggerito questa didascalia: “Grandi differenze di pubblico e di stile tra l’oratore cattolico e il comunista”.

Non si fa in tempo a riprendersi dallo sconcerto ed eccoci davanti all’immagine di uno striscione di stoffa – con su scritto “unità dei lavoratori” – sospinto in aria da un grappolo di palloncini. La didascalia recita: “La volatile unità dei lavoratori. Si fa vedere da tutti un pallone librato nel cielo della piazza dove si tiene la manifestazione politica, ma è anche un simbolo di fragilità e vaghezza”.

A questo punto abbiamo capito dove si vuol andare a parare. Tuttavia, ostinati, proseguiamo. Non smentisce i cattivi pensieri l’istantanea di un corteo del Primo maggio a Trieste, che si svolge ovviamente secondo i “rituali del modello sovietico”; mentre nella foto successiva, dove compaiono una signora in pelliccia e un sacerdote con i paramenti sacri intento a benedire il tricolore, viene esaltata la “diversa sensibilità” dei cattolici della Cisl.

Ma non finisce qui. Quasi al termine del percorso si parla del famoso film di Florestano Vancini “La lunga notte del 1943” e del libro di Giorgio Bassani da cui è tratto. L’uno e l’altro, come si sa, si riferiscono a un tragico evento: l’uccisione da parte dei fascisti repubblichini di 11 persone davanti al muretto del Castello Estense come rappresaglia per l’assassinio del federale di Ferrara. Ebbene, per rappresentare il tutto – libro, film ed eccidio  – cosa c’è di più appropriato di una bella immagine dell’attrice Belinda Lee attorniata dalle comparse?

“Le riprese del film sono terminate – ci informa la didascalia – e si fa festa. I finti militi fascisti partecipano in allegria con una selva di saluti romani. Ferrara 1960: impensabile dieci anni prima”. Ecco, fino a non molto tempo fa sarebbe stato impensabile leggere cose del genere. Di chi la responsabilità? Semplice sciatteria dei curatori della mostra o c’è la “manina” del neorevisionismo in salsa gialloverde?

Giuseppe Sircana è responsabile Archivio storico della Cgil Roma e Lazio