Si è svolta oggi la riunione al ministero dello Sviluppo economico sulla chiusura dello stabilimento Jde di Andezeno (in provincia di Torino), che produce i marchi di caffé Hag e Splendid. Fai Cisl, Flai Cgil e Uila Uil considerano che "le posizioni dell’azienda siano inaccettabili e mostrino una totale mancanza di responsabilità sociale. La chiusura del gruppo, secondo player mondiale del caffè, verso qualsiasi ipotesi che non preveda il licenziamento dei 57 lavoratori del sito, denota la totale mancanza di volontà nel trovare strade che possano dare soluzioni occupazionali per i lavoratori di un territorio già fortemente penalizzato. Si tratta di una vera e propria delocalizzazione delle produzioni, che mette a serio rischio anche ciò che resta della sede di Milano".

"La notizia dell’accordo tra Jde e Illy per la produzione e commercializzazione di caffè in capsule in alluminio desta ulteriore sconcerto, poiché dimostra come questo gruppo si muova in modo importante nel mercato italiano, ma nello stesso tempo decide di cessare tutte le produzioni nel nostro Paese", rilevano ancora le tre sigle.

Il dicastero, la Regione Piemonte assieme alle organizzazioni sindacali, hanno chiesto all'azienda di rivedere la sua posizione e, quantomeno, di considerare la possibilità di processi di reindustrializzazione del sito. Nonostante le posizioni di chiusura mostrate oggi dalla multinazionale olandese, le parti si sono riconvocate la settimana prossima.

Da settimane in presidio contro la chiusura

“Venga a prendere il caffè da noi!”. È quello che ripetono alla gente che passa, ormai da settimane in presidio permanente davanti alla fabbrica, con la tenda rossa della Flai Cgil, i 57 lavoratori della Jde (Jacobs Douwe Egberts), la multinazionale olandese del caffè (massimo gruppo pure play a livello mondiale, al secondo posto come produzione dopo Nestlè-Nespresso), proprietaria di brand celebri come Hag e Splendid, dopo che il 25 settembre scorso ha annunciato, come un fulmine a ciel sereno, di voler chiudere, dal primo gennaio 2019, l’unico stabilimento italiano di Andezeno (in provincia di Torino) e di licenziare tutto il personale (assunto a tempo indeterminato), trasferendo la produzione in uno dei quindici impianti  dislocati in Europa (si parla in particolare di quello in Bulgaria, dove il costo del lavoro è inferiore).

“La notizia della chiusura ci è giunta del tutto inaspettata – afferma Denis Vayr, segretario generale Flai Piemonte –. Con la direzione aziendale dovevamo vederci presso la sede di Assolombarda a fine luglio, ma poi l’incontro era slittato al 25 settembre, per discutere del rinnovo dell’integrativo. Due giorni prima della data fissata, ci arriva un comunicato che cambia l’ordine del giorno, annullando il tavolo negoziale sul contratto e annuncia di voler discutere di altre cose. Per la verità, qualche sentore di preoccupazione lo avevamo avuto: ci eravamo accorti che il direttore dell’impianto era sempre poco presente in sede e poi gli investimenti effettuati nell’ultimo periodo erano stati ridotti. Ma i dati sulla produzione erano rimasti pressochè inalterati, tanto che nel 2017 quella del caffè in chicchi non macinato era addirittura salita dell’1%, mentre il mercato del caffè tostato era sceso dell’1,5”.

Dal canto suo, la società ha dichiarato che la decisione di chiudere i battenti nel nostro Paese si è resa indispensabile poiché la vendita del caffè macinato è calata in modo drastico negli ultimi anni, a causa dell’ingresso nel mercato di cialde e capsule, che stanno soppiantando il caro vecchio caffè da moka. Un fenomeno che ha conquistato l’Europa, a cominciare proprio dall’Italia. Ciò ha creato problemi di sovraccapacità all’interno del network produttivo. Tanto da mettere in difficoltà anche un sito storico, come quello alle porte di Torino, nato nel lontano 1920, che mai prima d’ora aveva avuto segnali di flessione, e dove ogni anno si confezionano migliaia di tonnellate di caffè, che arriva crudo dal Brasile e viene in loco tostato e macinato, per finire poi sugli scaffali di negozi e supermercati. Sempre la Jde, ha giustificato la sua scelta anche sulla base degli eccessivi costi di trasporto della materia prima.   

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