“L’inchiesta pubblicata oggi da Repubblica sui Centri per l’impiego deve essere il punto da cui partire per una riflessione più profonda sullo stato del mercato del lavoro”. Così, in una nota, Donatella Onofri, segretaria della Cgil di Roma e del Lazio.

“Tutti gli studi in materia pubblicati fino ad oggi ci consegnano uno scenario in cui chi perde o cerca lavoro lo trova, nella maggior parte dei casi, per vie ‘familistiche’, e non si rivolge ai Centri per l’impiego o ai Servizi per l’impiego (strutture private accreditate). Tale condizione non migliora per come sono impostate le cosiddette politiche attive, cioè i percorsi cui devono sottoporsi i disoccupati per non perdere l’assegno di sostegno al reddito. Le politiche attive, infatti, per come vengono praticate, non mettono al centro il disoccupato. O meglio, lo fanno solo apparentemente. In realtà, gli si sviluppa intorno un vero e proprio mercato”, prosegue la dirigente sindacale.

“Sui 1.666 lavoratori di Almaviva, il più grande licenziamento collettivo avvenuto nel Lazio, si è sperimentato l’assegno di ricollocazione. Il risultato della sperimentazione è stato fallimentare, ma nessuno si è curato di verificare che cosa non avesse funzionato. Semplicemente, si è esportato il modello Almaviva a livello nazionale. Poi, va considerato un secondo aspetto: il linguaggio. Gli esperti di mercato del lavoro utilizzano molte parole inglesi (matching, skill e così via), quasi come se si dovesse ammaliare chi chiede l’assegno di ricollocazione perché ha perso il lavoro. Una tecnica, appunto, di mercato. Dietro l’apparenza poi si nasconde una realtà grottesca: troppo spesso chi si occupa di trovare il lavoro è precario anch’esso. Ma il male è all’origine, il nome dato alla legge è Jobs act”, continua la sindacalista.

“Al netto dell’andamento economico, che determina la tendenza dell’occupazione, il mercato del lavoro dovrebbe essere correlato alle politiche di sviluppo di un territorio. Invece troppo spesso le politiche sono segmentate, c’è chi si occupa solo di formazione, chi di lavoro e chi di sviluppo, senza dialogare tra loro. Per dirla con una battuta, la mano destra non sa cosa fa la mano sinistra. Il risultato è scontato. Chi rischia di finire sulla graticola in questo gioco? Come al solito, le lavoratrici e i lavoratori dei Centri dell’impiego, che quotidianamente, tra mille difficoltà, tentano di dare una risposta al disagio sociale che si riversa sulle loro scrivanie attraverso i tanti colloqui. A cui si aggiunge un senso d'impotenza per non poter fornire una risposta adeguata”, conclude l'esponente Cgil.