Si può essere dipendenti da Internet? Per Gian Luigi Gessa, esperto di neuropsicofarmacologia sì, ma con un'avvertenza: “Dire dipendenza dalla rete è una semplificazione. Non si è dipendenti da un tabaccaio, ma dalla nicotina. Allo stesso modo non è Internet, ma alcuni suoi contenuti”. Il secondo appuntamento con le lectio magistralis delle Giornate del lavoro che la Cgil tiene a Lecce ha visto protagonista il professore emerito dell’Università degli Studi di Cagliari. “La rete ha quasi trent’anni e oggi abbiamo studi per affermare che così come si diventa dipendenti dal cibo, dalle droghe, allo stesso modo alcuni contenuti e programmi che la rete offre possono creare addiction, come la definiscono gli anglosassoni. Ed è un termine più corretto, perché definisce meglio la forma di schiavitù”.

Per riconoscere questa nuova dipendenza si osservano i sintomi, “si utilizzano i criteri diagnostici – ha spiegato Gessa – della dipendenza dalle droghe”. Quindi l’assillo, il pensiero fisso, “come accedere subito alla rete al risveglio o farlo frequentemente. Ancora, il tentativo senza successo di smettere, la crisi di astinenza caratterizzata da un malessere soggettivo, la persistenza, la perdita di precedenti interessi, fino al negare la stessa dipendenza e ingannare se stessi dicendo smetto quando voglio”.

Addiction che riguarda quindi non tanto la rete, l’infrastruttura, ma i suoi contenuti, che possono essere diversi. “I giochi, soprattutto per ragazzi, ma sempre più anche per adulti, il gioco d’azzardo, i social, la pornografia”. Il principale programma che spinge alla dipendenza per Gessa sono proprio i giochi, “perché chi li sviluppa e produce sa come farli, stimola un istinto innato, quello dell’affermarsi. Che può significare uccidere, che è gratificante nella scimmia, nel topo così come nell’uomo. Si uccide virtualmente un alieno, un estraneo, un diverso. E non è proprio un bell'insegnamento”.

I meccanismi che portano alla dipendenza sono uguali a quelli delle droghe e chiamano in causa i neuroni. “Tutte le droghe sono duplicati di chiavi che già abbiamo nel nostro cervello e agiscono sui neurotrasmettitori. Attivano droghe endogene, emozioni, stimoli che abbiamo e che sono indotti. Inducono a comportamenti istintuali. Gli stessi che in laboratorio abbiamo osservato negli animali. Ognuna delle droghe classiche ha una sua sorella che serve a produrre gli stessi effetti che produciamo artificialmente”. Anzi, le droghe “producono effetti anche più intensi e ti invitano a ricordarti di rifarlo”. Allo stesso modo sono seducenti e stimolano alcune zone del cervello, rispondendo a meccanismi naturali. Quindi la dipendenza c’è, esiste, e bisogna vigilare, soprattutto sui più giovani”.

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