Una pagina del tutto nuova nei rapporti tra sindacati e imprese. È stata definita così l’intesa raggiunta alle prime ore dell’alba dello scorso 28 febbraio sui “Contenuti e indirizzi delle relazioni industriali e della contrattazione collettiva”. Il testo conclusivo, condiviso da Confindustria e Cgil, Cisl e Uil, è stato firmato ufficialmente nel primo pomeriggio di oggi, venerdì 9 marzo, dopo l’approvazione degli organismi dirigenti delle tre organizzazioni sindacali. Di questo importante appuntamento parliamo con Franco Martini, della segreteria confederale della Cgil (corso d’Italia ha valutato i contenuti del documento nel corso del direttivo che si è tenuto questa mattina).

Rassegna Allora, Martini, da dove vogliamo cominciare?

Martini Dall’inizio. Ritengo infatti che per cogliere appieno l’importanza dell’intesa tra Confindustria e Cgil, Cisl, Uil occorra fare qualche passo indietro e tornare all’autunno 2015. Non so in quanti ricordano ancora con precisione gli eventi che segnano quella stagione. Li riassumo brevemente. Il governo Renzi minaccia di intervenire per legge sulla contrattazione, a fronte dell’incapacità delle parti sociali di mettere a punto una riforma; gran parte di economisti, accademici, politici e ministri teorizzano il sostanziale spostamento del baricentro della contrattazione e delle stesse relazioni sindacali verso l’azienda, mettendo in soffitta il ccnl; una linea sposata dalla presidenza Squinzi di Confindustria e ancor più da importanti federazioni di settore che, per rendere più chiaro il concetto, parlano di aumenti salariali solo dopo che la ricchezza sia stata prodotta, ovviamente, redistribuendola in azienda. In questo scenario, si presenta al via la nuova stagione di rinnovi, accolta dal mantra “prima la riforma del modello, poi i contratti”. Come se non bastasse, i rapporti tra Cgil, Cisl e Uil segnano il loro minimo storico, con diversità di giudizi sulle scelte più rilevanti del governo, a partire dal Jobs Act, per arrivare a una manovra finanziaria di stampo liberista e restrittivo.

Rassegna Certo, a leggerla così, solo un inguaribile ottimista avrebbe potuto prevedere un destino diverso da quello che siamo chiamati a commentare oggi...

Martini O un visionario incallito. E il motivo per cui la storia è andata diversamente è innanzitutto nella consapevolezza delle confederazioni che a rischio non vi fosse una o l’altra organizzazione, ma l’intera funzione della confederalità. Quell’idea di riforma della contrattazione, infatti, era uno dei sottoprodotti della disintermediazione, della teoria dell’inutilità dei corpi intermedi, vissuti dalla narrazione corrente come intralci alla modernità.

Rassegna Cruciale nel processo di costruzione di un punto di vista comune tra i sindacati confederali, è la data del 14 gennaio 2016, quando gli esecutivi di Cgil, Cisl, Uil approvano all’unanimità il documento unitario “Per un moderno sistema di relazioni industriali”.

Martini Sì, con quella proposta di riforma Cgil, Cisl e Uil proiettano la questione della riforma del modello contrattuale dentro una sfida più ampia, quella della ridefinizione dei contenuti e delle regole del sistema di relazioni industriali, a fronte della crisi profonda dei soggetti di rappresentanza del lavoro e dell’impresa, prendendo in contropiede il mondo politico ed economico, che già andava decretando la marginalità delle confederazioni. Il confronto aperto sulla proposta unitaria dei sindacati produce nel giro di pochi mesi tre accordi, con le associazioni di rappresentanza delle piccole imprese, degli artigiani e del terziario, accordi tutti in linea con il documento di Cgil, Cisl e Uil.

Rassegna Nei mesi successivi all’elaborazione di quel documento unitario, brilla per la sua assenza Confindustria, prigioniera di una posizione iniziale tendente a subordinare l’avvio della stagione dei rinnovi all’apertura del confronto sul modello contrattuale.

Martini Una posizione dimostratasi insostenibile, anche per la spinta delle federazioni di categoria a definire proprie, autonome soluzioni alle vertenze contrattuali, rendendo impossibile la definizione di una sintesi tra posizioni significativamente diverse. Il decreto sulla detassazione dei premi di produttività del 2016 offre l’occasione per riallacciare il confronto con Confindustria, che nel giro di poche settimane approda a due intese, una sulle linee guida per la gestione degli accordi detassati, l’altro sulle crisi e la gestione delle risorse di lì a poco liberate dalla fine degli ammortizzatori, nell’ambito di un progetto in grado di incrociare politiche passive e attive, nel caso delle crisi aziendali. Ha inizio, a quel punto, un confronto con alti e bassi su temi propri del documento unitario, che ha segnato un lungo tratto di strada, fino alla fase più recente, conclusasi con l’intesa del 28 febbraio.

Rassegna Qual è la tua valutazione circa gli evidenti ripensamenti e i cambi di rotta realizzati, nell’ambito del confronto, da Confindustria?

Martini Non vi è dubbio che l’accordo ribalta la posizione iniziale di Confindustria, rimettendo al centro l’importanza del ccnl. Mettere in sicurezza il contratto nazionale significa intervenire sulle due principali questioni che rappresentano un rischio per la sua funzione di strumento di tutela collettiva, a cominciare dalle regole, cioè dalla certificazione della rappresentatività degli attori negoziali. Se al Cnel sono depositati oltre 860 ccnl, dei quali meno della metà sono stati firmati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative, è perché in questi anni la contrattazione è stata terreno di scorribande per alimentare una competizione al ribasso, attraverso il dumping dei contratti pirata, il cui unico obiettivo è pagare meno il fattore lavoro. L’accordo con Confindustria completa quella che può definirsi una svolta storica, vale a dire la consapevolezza e la disponibilità di tutte le associazioni dell’impresa a regolamentare la rappresentanza, fino al punto da non sottrarsi all’eventualità di una norma di legge a sostegno. Maggiori difficoltà, anche interne al sindacato, ha incontrato l’altra questione legata alla valorizzazione del ruolo del ccnl, e cioè la perimetrazione del sistema. Ormai i confini dei campi di applicazione, tra industria, artigianato e servizi, risultano sempre più evanescenti, e anche questo è un fenomeno che, quando slegato da effettivi processi di cambiamenti organizzativi e tecnologici, alimenta la concorrenza al ribasso. È una questione sulla quale tutto il sindacato sarà chiamato ad aggiornare una propria, autonoma elaborazione.

Rassegna Cosa prevede l’accordo riguardo allo spinoso tema del modello contrattuale?

Martini Prendendo atto dell’impossibilità di individuare un modello universale, l’accordo sancisce l’idea di un modello contrattuale flessibile, affidato all’autonomia delle categorie. Ciò consente di salvaguardare le peculiarità settoriali consolidate negli anni e gestire in questo contesto l’altro importante risultato realizzato, il riconoscimento dell’obiettivo della crescita dei salari al primo livello, oltre il recupero inflazionistico, sia attraverso la possibilità di incrementare i minimi tabellari, sia attraverso ulteriori trattamenti economici aggiuntivi. In questo caso, i cambiamenti delle posizioni di Confindustria sono evidenti e notevoli, poiché si accede all’idea che quote di produttività, fino a oggi destinate solo al secondo livello, possono essere redistribuite anche attraverso il ccnl. Naturalmente, l’intesa esprime la piena consapevolezza delle parti che occorra determinare le condizioni per una crescita economica, attraverso il rilancio degli investimenti pubblici e privati, a partire dal Mezzogiorno, dove le ingiustizie sociali e le diffuse arretratezze del sistema produttivo rappresentano un elemento di freno allo sviluppo complessivo del paese. Ma la crescita dei salari, nell’ottica del superamento dei differenziali retributivi di genere, viene assunta anche come leva per superare gli squilibri nella redistribuzione del reddito e per favorire un rilancio della domanda interna. Quindi, anche come fattore di politica economica, per rendere strutturale l’uscita dalla crisi.

Rassegna L’intesa cerca di offrire anche indirizzi coerenti relativamente al welfare contrattuale.

Martini Viene riaffermata, non retoricamente, la centralità del sistema universale del welfare pubblico e, in quest’ottica, il carattere integrativo di quello contrattuale. È chiaro che questi indirizzi dovranno vivere concretamente nella contrattazione e ciò costituirà prova di coerenza delle categorie, chiamate spesso a subire l’iniziativa delle controparti e il monopolio dell’ormai diffuso mercato delle piattaforme “chiavi in mano” offerte dalle diverse società operanti sul mercato. L’intesa ribadisce quello che già costituiva contenuto dell’intesa con Confindustria del luglio 2016, circa la priorità data alle prestazioni di significativo contenuto sociale, ma che ha stentato ad affermarsi proprio per l’irruzione delle piattaforme alle quali si accennava in precedenza.

Rassegna Altre novità di rilievo?

Martini Il diritto soggettivo alla formazione non è stato acquisito, ma l’intesa ha arricchito le proposte in materia, inserendo un punto di grande qualità, la certificazione della formazione, decisamente importante, soprattutto per connetterla con il riconoscimento e la valorizzazione per via contrattuale della professionalità acquisita, anche attraverso le modifiche all’inquadramento. Quanto al tema della salute e sicurezza sul lavoro, un capitolo rilevante dell’intesa, si arricchisce dell’impegno di Confindustria a sottoscrivere l’accordo sugli Rlst, dopo quasi dieci anni, e ad avviare una nuova riflessione e una conseguente iniziativa sulla qualificazione del ruolo dell’Inail. Senza dimenticare un altro punto inedito, quello della partecipazione delle lavoratrici e dei lavoratori alla gestione delle imprese. Qui, davvero, si arriva a sfatare un tabù, che richiederà tuttavia un salto culturale dello stesso sindacato e la sperimentazione di modelli di partecipazione organizzativa e non solo, per esprimere tutta la consapevolezza e la responsabilità del lavoro, in una fase storica straordinaria, quella della quarta rivoluzione industriale, carica di opportunità, ma anche, se mal indirizzata, di tante contraddizioni.

Rassegna Cosa puoi dirmi in merito agli impegni derivanti dalla gestione dell’intesa, tenendo conto soprattutto del nuovo scenario politico?

Martini Nelle prossime settimane la portata dell’accordo avrà modo di essere ancora più esaminata e valorizzata, tanto più che le opportunità offerte appartengono alla sua fase di gestione, che dovrà vedere il sindacato protagonista. Ciò ancor di più nel nuovo contesto determinato dalle ultime elezioni, che hanno sconvolto scenari, equilibri, riferimenti che hanno accompagnato gli ultimi decenni. Oltre alle mille incertezze sulla governabilità del paese, quello che più preoccupa è l’assenza di un “disegno paese” che sappia guardare oltre la mera denuncia delle disuguaglianze e del disagio sociale, che pur ha caratterizzato il voto del 4 marzo. È chiaro che le intese raggiunte con le associazioni datoriali avranno un percorso in salita, ma rappresentano in ogni caso una manifestazione di autonomia delle parti sociali, che, orientando la funzione della contrattazione e della rappresentanza verso il superamento delle disuguaglianze, può spingere la politica oltre le secche nelle quali sembra essersi arenata dopo le elezioni.

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