Si usano spesso, in occasione di momenti significativi e di passaggi rilevanti nello scorrere del tempo, metafore e modi di dire che richiamano la necessità di nuove responsabilità e del coraggio del cambiamento. Un esame importante, una relazione sentimentale, la nascita di un figlio, l'avvio di una attività, sono quasi sempre momenti e occasioni per un bilancio di quanto realizzato e di impegni per il futuro. Così come avviene quando un anno sta per terminare e si attende l'anno nuovo.

Senza alcuna retorica, possiamo proprio dire che l'anno che sta per arrivare è davvero per l'Unione europea il banco di prova per misurare quantità e qualità delle sue ambizioni e delle sue possibilità. È l'anno che ci separa dalle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo, un test da sempre indicativo non solo degli orientamenti dei cittadini ma anche delle prospettive del processo di costruzione e di integrazione dell'Europa. Per questo, non è banale o di routine affermare che sarà un anno decisivo per il futuro del progetto europeo, un anno in cui le grandi famiglie politiche dell'Europa avranno il compito di presentare le proprie proposte per la fase che si avvierà con le elezioni del 2019.

Da dove partiamo? Come in molte altre circostanze, da un bivio, metafora di scelta e di decisione. E il bivio di fronte al quale si trova l'Europa, analogamente ad altri momenti cruciali nella sua storia recente, è tra innovazione e status quo, tra coraggio di visione e rassicurante continuità. Non vi è dubbio che, al momento, il progetto europeo sia in una situazione di stallo. Il mordere della crisi, gli effetti negativi delle politiche economiche e sociali sbagliate (a partire dal Fiscal Compact), i timori legati alla sicurezza e al fenomeno migratorio, il carattere incompiuto dell'architettura istituzionale dell'Ue, tutto ciò ha prodotto la crisi tanto del processo di integrazione quanto della fiducia verso l'intero progetto europeo. Da parte dei cittadini comuni e dei lavoratori, degli appartenenti a quelle classi medie e popolari che hanno subito i contraccolpi più negativi sulle proprie condizioni di vita e di lavoro a causa delle politiche di austerità e di rigore cieco praticate dalle autorità dell'Ue, vi è un atteggiamento sempre più freddo e critico rispetto alla proposta europea. I governi nazionali hanno preso il sopravvento facendo prevalere il metodo intergovernativo (e il conseguente potere di veto utilizzabile quando serve l'unanimità delle decisioni) rispetto al modello decisionale comunitario, i vantaggi del comune cammino europeo hanno cominciato a sbiadire rispetto alla ripresa di forza delle dimensioni nazionali, la difesa degli standard di welfare e protezione sociale da parte dei paesi più forti ha accresciuto chiusure ed egoismi.

In questo contesto, non stupiscono gli esiti del referendum in Gran Bretagna sull'uscita dall'Unione europea o quelli delle elezioni politiche che in tanti paesi hanno fatto segnare l'avanzata (in qualche caso consistente ed allarmante) di partiti che all'euroscetticismo e all'ostilità verso la moneta comune aggiungono i tratti di una cultura autoritaria, xenofoba, razzista, di destra estrema. Per fare solo qualche esempio, basterà ricordare le recenti elezioni in Austria, in Germania, in Francia, elezioni che sia pure con esiti diversi hanno evidenziato il malessere dei cittadini e la crisi di credibilità del disegno europeo. Così come gioverà tenere a mente i casi dell'Ungheria e della Polonia, su cui le autorità europee si sono mosse male, oscillando tra ritardi e colpevoli sottovalutazioni; due situazioni che dimostrano come sia a rischio la tenuta democratica e la difesa dei diritti civili, sociali, politici, nello stesso cuore dell'Europa.

Si tratta, dunque, di scegliere la direzione giusta di fronte al bivio e di districarsi tra i segnali contraddittori che arrivano. Perché, sì, l'idea di Europa è in crisi ma qualche spunto positivo di recente si è verificato. Nello scorso novembre, dopo vent'anni in cui discutere di Europa e di modello sociale era diventato una sorta di tabù, il vertice straordinario dei capi di stato e di governo dell'Ue riunito a Göteborg ha proceduto alla proclamazione del "Pilastro europeo dei diritti sociali". È vero, si tratta di un documento di impegni non vincolanti, di un catalogo di buone intenzioni che i singoli paesi dovranno mettere in atto. E, tuttavia, al di là e oltre i singoli contenuti, quel documento ha il merito di riportate la questione della dimensione sociale dell'Europa al centro della discussione pubblica, dopo due decenni di predicazione neoliberista nella direzione esattamente contraria. 

Tra gli altri segnali di segno positivo possiamo annoverare la comunicazione della Commissione europea sul completamento dell'Unione economica e monetaria, con la proposta di trasformare il fondo salva stati Esm in un vero e proprio Fondo monetario europeo e di istituire un ministero europeo dell'economia, con funzioni di coordinamento dell'economia e delle politiche di investimenti. Nella direzione giusta, sia pure in modo non del tutto in linea con le richieste del sindacato europeo, va la scelta di varare una direttiva sulla forma scritta dei contratti di lavoro con garanzie più nette del passato per i lavoratori dipendenti, gli atipici, i parasubordinati, gli autonomi. E anche la revisione della direttiva sui distacchi transnazionali dei lavoratori, con l'obiettivo di contrastare la concorrenza sleale tra paesi e sistemi economici e di combattere il dumping sociale e salariale, è un altro piccolo segno positivo.

Per restare nel campo delle buone notizie, vanno segnalati due recenti pronunciamenti della Corte di giustizia dell'Ue, uno su Uber e uno sui guidatori di camion. Riguardo Uber, la Corte ha stabilito che non si tratta semplicemente di una applicazione per smartphone ma di una vera e propria azienda di trasporto. In quanto tale, Uber deve sottostare alle regole che ogni stato membro dell'Ue definisce per il servizio di trasporto. Tra queste regole vi è il rispetto dei diritti sindacali, ivi compreso quello alla contrattazione collettiva. Siamo in presenza di un pronunciamento importante, perché consente di avviare una discussione sulla natura giuridica delle piattaforme digitali e di ipotizzare la creazione di uno spazio per la contrattazione di salari e condizioni di prestazione per i lavoratori delle piattaforme, come da tempo chiedono sia la Confederazione europea dei sindacati che la Cgil. Sul caso dei guidatori di camion, la Corte ha precisato che il loro riposo settimanale non può essere effettuato a bordo dei mezzi da essi condotti, affermando quindi il diritto a riposare in ambienti adeguati e riconoscendo quanto da tempo i sindacati del settore trasporti sostengono circa la dignità del lavoro e la lotta ai fenomeni di sfruttamento selvaggio dei conduttori di mezzi pesanti, soprattutto da parte di imprese localizzate nell'Europa orientale.

C'è un altro aspetto positivo che va ricordato. Qualche settimana fa l'Eurogruppo (il club dei ministri economici del paesi della zona euro) ha designato un nuovo presidente. Al posto dell'olandese Jeroen Dijsselbloem, un olandese tiepido sull'integrazione e poco amichevole verso i paesi dell'Europa meridionale, è stato nominato Mário José Gomes de Freitas Centeno, ministro dell'economia del governo del Portogallo, la nazione che ha sperimentato direttamente le misure di austerità e di disciplina di bilancio imposte dalla Commissione europea e che, forse proprio in ragione di ciò, alle ultime elezioni ha premiato la sinistra socialista e comunista, oggi al governo del paese con buoni risultati in termini di crescita economica e di riduzione delle disuguaglianze.

Quello che occorre è che questi cenni di una possibile inversione di tendenza rispetto al corso recente degli avvenimenti europei assumano un carattere di strutturalità. Per far questo, occorre che si ingaggi una coerente battaglia politica all'interno di tutti gli schieramenti che si fronteggiano in Europa (i popolari, i socialisti e democratici, i liberali, la sinistra più radicale) per mettere in un angolo quello scetticismo e quella mancanza di coraggio rispetto al futuro dell'Europa che si annidano in tutti i gruppi politici, spesso come conseguenza delle spinte di carattere nazionale. In altri termini, occorre che l'attuale presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker (grazie alla cui convinzione europeista si sono registrati alcuni degli avanzamenti di carattere sociale di cui abbiamo parlato) contrasti nel vivo del confronto politico all'interno dei popolari europei le tesi di chi, come Angela Merkel, vorrebbe imporre una fredda egemonia tedesca al processo europeo. O di quanti, come i commissari Jyrki Katainen e Valdis Dombrovskis, insistono per mantenere inalterate le politiche economiche liberiste che ormai tutti gli osservatori considerano responsabili della bassa crescita dell'economia europea. E altrettanto dovrebbero fare, nella propria famiglia politica europea, commissari come il socialista francese Pierre Moscovici, convinto sostenitore di politiche espansive e di scelte coraggiose su investimenti e carattere sociale dell'Europa.

Insomma, alla sinistra europea e ai soggetti che trovano nella continuazione del sogno europeo la propria fonte di ispirazione è affidato il compito di prendere quelle decisioni in grado di offrire una prospettiva diversa, rispetto a quanto proposto tanto dal fronte neoliberista quanto dalle forze euroscettiche e di ultradestra. Per citare Lucio Dalla, l'anno che sta arrivando tra un anno passerà. Noi speriamo che il 2018 passi nella ricerca e nella pratica delle proposte politiche in grado di rilanciare l'idea di Europa, di rinvigorire il modello sociale europeo, di riprendere ad avanzare quanto alle condizioni di vita e di lavoro. Nello svolgere questo compito, il sindacato europeo e quello italiano daranno, come sempre nella loro storia, il proprio contributo.

Fausto Durante è coordinatore Area politiche europee e internazionali della Cgil