Riduzione della spesa sociale, politica dei bonus, reddito d'inclusione, diritto al welfare e immigrati, Ape sociale. Questi, i temi dell'intervista di oggi di RadioArticolo1 al presidente dell'Inca Cgil, Morena Piccinini.  "La tendenza degli ultimi anni è meno Stato, meno welfare, che noi dobbiamo fermare, perché produce iniquità e non crea coesione sociale – ha detto la dirigente sindacale –. La riduzione della spesa sociale ha investito diversi filoni, come la tutela sul lavoro e la tutela nella perdita di lavoro, con la cancellazione di quasi tutti gli ammortizzatori sociali. A ciò, si è unita la riduzione economica dell’insieme della spesa sociale, con una profonda disarticolazione al suo interno. I bonus hanno sostituito la certezza del diritto, riducendo e parcellizzando i partecipanti alle prestazioni. Si potrebbe dire, uno su mille ce la fa, per quanti sono i paletti di accesso immessi nel sistema. Poi i bonus sono discontinui: un anno ci sono, un altro no, vedi il bonus bebè. Tutto questo fa a cazzotti con un’idea sana di welfare. Anche la precarietà deve poter avere prestazioni sociali stabili, che possano accompagnare una condizione di lavoro già di per sè precaria".

 

Per quanto riguarda la poltica del governo verso gli immigrati, "non ci siamo – ha continuato la sindacalista –. Si fermano gli sbarchi, ma non si sa come trattare queste persone. Le leggi in materia che si sono succedute negli ultimi anni sono chiaramente discriminatorie e incostituzionali, come ha ribadito anche la Corte europea. Parliamo d'immigrati normali, che sono qui da tempo, producono reddito e pagano le tasse. Parliamo della normalità. Ultimamente, l’Inps ha detto no al bonus mamma per le donne immigrate Perché? In nome di cosa? Non si capisce, se lavorano e pagano le tasse, devono avere gli stessi diritti degli altri cittadini. La finzione è doppia: la prima è quando si fa la legge; la seconda, quando vengono inserite le trappole per far risparmiare lo Stato. Sfatiamo l’idea che Il welfare è poco, perchè ci sono poche risorse. È vero proprio il contrario. Apparentemente, lo Stato sembra dare a tutti, in realtà, il criterio è tagliare i beneficiari il più possibile".

A gennaio parte il reddito d'inclusione: "È l’ennesima illusione che il governo tenta di dare, col rischio che sia una nuova grande delusione per quelli che dovrebbero essere i beneficiari, che vivono davvero in condizioni di povertà – ha proseguito la titolare dell'Inca –. Poche le risorse stanziate, il 30% del fabbisogno, e non ci sono percorsi d’inclusione per uscire dalla condizione di povertà, come avviene in altri paesi: penso alla Germania, dove si fa formazione e ci sono percorsi di politiche attive, dall’uscita dalla condizione di disagio attraverso la messa in rete di tutti i servizi. Non se la cavano con quattro miseri soldi da elargire, come fa il nostro governo. Il Rei dev’essere a vantaggio delle persone in difficoltà, non il contrario. Con poche risorse a disposizione, i Comuni stanno facendo tanto per costruire percorsi d’inclusione. Noi abbiamo chiesto che la trasparenza dello strumento dei Rei fosse a loro vantaggio, in realtà le procedure sono pazzesche".

L’approccio al sistema delle tutele proprio non convince, troppo parcellizzato, così come sono troppi gli strumenti disordinati. "Ne basterebbero pochi - aggiunge Piccinini -, ad esempio, delle buone detrazioni fiscali e assegni familiari a sostegno delle famiglie, accompagnate da politiche attive e percorsi personalizzati in cui ci sia la responsabilità del pubblico che manca nei programmi di governo, per costruire una condizione di dignità. E non si tratta di un problema economico, perchè non è vero che così si spendono meno soldi, anzi, se ne vanno molti di più di quella che è la resa finale in termini di percezione del servizio erogato. Quando parlo di responsabilità pubblica, intendo i processi di esternalizzazione dei servizi che stanno diventando una fonte di dispersione anche economica. Il pubblico si deve fare carico di queste persone in difficoltà. Quella dei bonus è solo una lotteria".

"L'Ape sociale non ha funzionato e ha fallito l’operazione nel suo complesso – ha sostenuto la responsabile del patronato Cgil –. Nelle intenzioni del governo, dovevano essere oltre 60.000 i beneficiari. Per noi, la platea doveva essere molto più ampia. Poi le trappole inserite nel percorso, sia per l’identificazione dei lavori gravosi che per le altre tipologie, ha fatto sì che alla fine ne beneficerà meno della metà della platea preventivata. E in tal modo si stanzia la metà delle risorse. In conclusione, sono più gli esclusi che gli ammessi, e il governo fa la 'cresta' su tutto. Il cosiddetto allargamento delle categorie di beneficiari a partire dal 2018, farà sì che si spenderà meno di quello che si è risparmiato nel 2017. Ad esempio, sono stati inseriti i braccianti tra i lavori gravosi, ma la maggior parte ne sarà esclusa. Non si fa così. Stessa cosa sull’opzione donna, dove reincassano più della metà dei soldi stanziati, idem sulle salvaguardie".

"Possiamo dire che i diritti sono diventati un lusso in questo Paese. La nostra rabbia è tanta, perché non c’è niente di più controproducente che dare l’illusione che si concede qualcosa, quando poi è vero il contrario. La politica dei bonus è sbagliatissima, perché diffonde un messaggio pericoloso, attiva delle furbizie più che il senso del diritto. Davvero non è possibile che per l’esercizio di qualche pur minimo diritto ci sia sempre bisogno della mediazione di qualcun altro. Non è concepibile che tutta la pubblica aministrazione, in tema di welfare, sia tutta strutturata nel senso che se hai gli strumenti e se accedi a un servizio d’intermediazione sociale, come può essere un patronato, ce la fai, altrimenti ne sei tagliato fuori. Servono certezze, trasparenza ed equità, che il nostro Paese sembra aver smarrito”, ha concluso Piccinini.