Sulle banche è l'ora della verità. 
Quasi tutti i giornali aprono con la vicenda che riguarda la banca Etruria e il ministro Boschi, dopo l’audizione in Commissione del presidente della Consob Vegas. Quello che emerge anche dalle altre testimionianze “consigliano di muoversi con molta attenzione e con l'obiettivo di far luce su tutto quello che sta accadendo”. Così Agostino Megale, segretario generale della Fisac Cgil, nel suo intervento su RadioArticolo1.

Quando nel 2013 “avevamo presentato le nostre proposte sulla buona finanza, mettevamo in evidenza che la Consob doveva e poteva svolgere un ruolo molto più rigoroso attraverso tre interventi: vietare le obbligazioni retail nelle banche in difficoltà, varare una black list dei prodotti da non vendere e ripristinare i cosiddetti scenari probabilistici”. Quanto alle commistioni tra politica e banche “ci vuole chiarezza nell'evitare interferenze soprattutto quando si svolgono ruoli chiave come quelli della sottosegretaria alla presidenza del Consiglio. Dopodiché, però, bisogna sempre avere presente con chiarezza che l'origine di quelle crisi bancarie – Etruria,  Banca Marche, Carichieti, Cariferrara e le due venete – è responsabilità di chi ha portato quegli istituti al fallimento e cioè dei manager”.

 

Per questo, ha attaccato il sindacalista, Vegas, “di cui in tempi non sospetti abbiamo chiesto le dimissioni, deve dire effettivamente le cose come stanno e poi, a maggior ragione, occorre garantire alla Consob una presidenza effettivamente autonoma e non subalterna ad alcuna parte politica”.

Insomma, le responsabilità dei manager non vanno nascoste, “visto che per la prima volta nella nostra storia ci siamo trovati con 11 banche in stato di crisi. Se non si fossero realizzati gli interventi che sappiamo – a partire dalla ricapitalizzazione di Montepaschi attraverso l’intervento pubblico –oggi ci troveremmo nel disastro più totale, con oltre 40 mila lavoratori espulsi e 10 milioni di risparmiatori colpiti: insomma, un terremoto per il Paese”.

Sarebbe dunque opportuno, per il leader della Fisac, che la politica riconoscesse che c'è stata una grave sottovalutazione della situazione sin dal 2011, quando lo spread era a 530 e le banche nel complesso dichiaravano che il sistema era sano: “Poi a un certo punto gli interventi fatti dal governo Gentiloni sono stati utili e apprezzabili, ma non si può tacere che per mesi si è temporeggiato e che il governo precedente ha affrontato il tema con una sorta di ‘populismo dolce’ che alla fine non ha preso di petto i problemi”. Finalmente i problemi sono stati affrontati: “Adesso possiamo guardare oltre le crisi ma i manager che hanno sbagliato devono pagare, anche in termini di responsabilità legale”.

Una sfida importante, perché “il sistema bancario può vivere soltanto se riconquista un rapporto di piena fiducia con i risparmiatori e una parte del sistema questo rapporto effettivamente ce l'ha. Tuttavia è indubbio che le vicende di questi mesi abbiano prodotto una difficoltà non solo nel rapporto tra risparmiatori e banche, ma anche nel rapporto tra risparmiatori, cittadini e politica. Il presupposto fondamentale della politica è, infatti, quello di essere al servizio dei cittadini e del bene comune”.