La Consulta delle professioni della Cgil ha presentato oggi (28 giugno), a Roma, presso la sala stampa della Camera dei deputati, la proposta di legge per abrogare l'incompatibilità tra qualsiasi attività di lavoro subordinato, anche se con orario limitato, e la professione di avvocato. “Un’iniziativa importante – sottolinea la Cgil –, portata avanti insieme alle associazioni forensi e alle nostre categorie Filcams e Nidil, volta a tutelare i diritti dei lavoratori professionisti non dipendenti. Perché cadendo l’incompatibilità, le collaborazioni tra professionisti diventerebbero ‘sane’ e non si potrà più mascherare il lavoro subordinato”.

La proposta prevede di far decadere l'incompatibilità tra professione forense e lavoro dipendente o parasubordinato, così da "liberare" migliaia di avvocati monocommittenti, i cosiddetti sans papier, da un limbo professionale. Da un lato, sono, di fatto, dipendenti degli studi professionali e il loro rapporto di lavoro ha le caratteristiche, ma non gli stessi diritti, di quello subordinato. Dall’altro lato, non hanno la possibilità di beneficiare realmente dei vantaggi e delle libertà connesse alla condizione di liberi professionisti.

Alla presentazione romana erano presenti Chiara Gribaudo e Valentina Paris (Pd) e Andrea Maestri (Sinistra Italiana-Possibile), i tre deputati che hanno posto la loro firma in calce alla proposta. “Abbiamo formulato questa proposta di modifica – ha spiegato Cristian Perniciano, della Consulta giuridica delle professioni della Cgil – con l’intento di tutelare i diritti dei lavoratori professionisti non dipendenti perché cadendo l’incompatibilità non si potrà più mascherare con le collaborazioni o con le partite Iva il lavoro spiccatamente subordinato”.

“Proviamo a dare risposte ai professionisti – ha sottolineato Gribaudo – separando con una regola certa il lavoro dipendente da quello autonomo, con l’obiettivo di arrivare, se possibile, anche ad una ridefinizione dell’equo compenso per i professionisti, per restituire dignità a lavoratori privi anche dei diritti minimi garantiti da contratti di lavoro e Costituzione”.

Su contrattazione e retribuzioni, si è soffermato Cosimo Matteucci, presidente di Mga - Mobilitazione generale degli avvocati. “In Italia – ha detto – operano circa 240.000 avvocati; di questi oltre la metà (il 54,9%) è in una fascia reddituale tra zero e 20.000 euro. È qui che si annida gran parte del lavoro nero del settore. Con la nostra proposta, vorremmo portare tanti lavoratori nella sfera della contrattazione collettiva, inserendo la loro professione nel contratto nazionale che già esiste e garantisce ottimi livelli di tutela dei diritti e delle retribuzioni a moltissimi lavoratori impiegati in studi professionali”.

“La formula che noi proponiamo è quella dell’attuale ccnl per i dipendenti di studi professionali – ha insistito Perniciano –, perchè solo con il contratto nazionale si potranno definire i parametri che in un rapporto di lavoro definiscono la subordinazione o l’autonomia di un collaboratore”.

Alla redazione del testo di proposta di modifica all’articolo 19 della legge 247 si è giunti con il coinvolgimento anche di centinaia di lavoratori, in una ventina di assemblee lungo tutto lo stivale, promosse da Cgil attraverso la sua Consulta e con la collaborazione di Filcams e Nidil. “Sappiamo che i tempi sono strettissimi – ha concluso Gribaudo –, ma con i colleghi Piras e Maestri c’impegneremo perché la proposta venga calendarizzata alla Camera e venga discussa in aula prima che si concluda la legislatura”.

La proposta in dettaglio
In particolare, l’intervento legislativo parte dalla modifica dell’articolo 19 della legge 247/2012 (‘Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense’), aggiungendo un apposito comma che recita così: “L’incompatibilità non si verifica per gli avvocati che svolgono attività di lavoro dipendente o parasubordinato in via esclusiva presso lo studio di un altro avvocato o associazione professionale o società tra avvocati o multidisciplinare, purché la natura dell’attività svolta dall’avvocato riguardi esclusivamente quella riconducibile ad attività propria della professione forense”.

“Al lavoratore – recita ancora la proposta – saranno applicate le norme del contratto collettivo nazionale di riferimento. Nel caso in cui i ccnl applicabili al committente non contengano previsioni in materia di compenso, quest’ultimo dovrà essere comunque proporzionato alla quantità e qualità della prestazione da eseguire, avendo riguardo all’impegno temporale richiesto da essa e alla retribuzione prevista dal contratto a efficacia generale di livello nazionale applicabile al committente, con riferimento alle figure professionali di competenza ed esperienza analoga a quella del lavoratore”.