Il testo che segue è la sintesi dell’articolo pubblicato nel n.3-4 2016 de La Rivista delle Politiche Sociali. Gli abbonati possono leggerlo qui in versione integrale. Questo è invece il link alla rubrica che Rassegna dedica alla stessa Rivista

Il sistema tax benefit italiano (contributi sociali, Irpef, addizionali e patrimoniali locali, assegni e bonus) nella sua azione “redistributiva” è insoddisfacente sotto vari profili, sinteticamente riconducibili all’azione svolta in base a un reddito complessivo sempre più carente, all'incapacità di sostenere i carichi familiari dei nuclei a basso reddito, all’assenza di un sostegno coerente ai nuclei più poveri, infine a una struttura delle aliquote marginali incapace di incentivare l’offerta di lavoro in maggiore difficoltà, quella a basso reddito.

Negli ultimi anni, in particolare, il reddito complessivo ha perso ulteriori importanti componenti di imponibile. Ciò tende a rafforzare la sensazione di una comprehensive income tax che invece grava essenzialmente sul lavoro dipendente, sulle pensioni e su quella quota di autonomi che non può o non vuole evadere e non può aggirare la progressività grazie alle recenti imposte sostitutive sugli eventuali ingenti utili d’impresa. La gran parte delle componenti del sistema (detrazioni per reddito e per carichi familiari, assegni familiari, bonus 80 euro, addizionali) contiene inoltre decrescenze ed esenzioni che generano salti di diverso segno per le aliquote marginali effettive, determinando incentivi e disincentivi per l’offerta di lavoro di grande entità e modesta ratio.

La struttura dell’imposta personale è così oggi distinta in tre sole aliquote di fatto: esenzione fino a circa 9 mila euro; un 30% circa fino ai 28 mila euro annui; un 42/43% a partire da soli 28 mila euro, senza distinzioni fino a milioni di euro. Inoltre, una parte importante (e l’unica universalistica) del sostegno ai carichi familiari è fondata su una detrazione d’imposta che, riducendo l’Irpef dovuta, non raggiunge proprio i nuclei familiari più bisognosi in quanto “incapienti”, quelli per i quali il legislatore ha voluto fissare un ammontare “spettante” (ma non fruibile) di maggiore entità.

A questo quadro non soddisfacente si è aggiunto di recente un sostanzioso bonus di 960 euro annui per i soli dipendenti, che inspiegabilmente non viene dato a quelli più poveri, viene attribuito sulla base del reddito Irpef individuale (con i limiti ricordati) e decresce rapidamente fino ad annullarsi tra i 24 mila e i 26 mila euro di reddito complessivo, generando un’abnorme e specifica aliquota marginale di quasi il 50% (che si avvicina facilmente al 100% con le altre componenti fiscali e contributive). Infine, gli assegni familiari, riservati ai dipendenti, sono un universo a sé che segue logiche molto diverse dal resto del sistema, risultando anche in parziale conflitto con esse e con altri strumenti redistributivi quali ad esempio l’Isee.

A partire da queste considerazioni, si presenta qui una riforma che si pone i seguenti obiettivi: aliquote personali gradualmente e regolarmente crescenti, che non colpiscano i redditi intermedi; un sostegno per i nuclei familiari poveri o con figli fondato sul superamento dell’iniquo fenomeno dell’incapienza e sulla attribuzione in base a un “reddito equivalente” calcolato in ambito familiare; un’azione redistributiva efficace con cuneo fiscale ridotto sui bassi redditi, quelli più colpiti dalla pressione della globalizzazione.

Il dettaglio dell’impianto di riforma, in estrema sintesi, consiste in una fiscalizzazione dei contributi previdenziali lì dove oggi l’Irpef già risulta non dovuta, in una rimodulazione di aliquote e scaglioni con maggiore gradualità e detrazioni per reddito fisse, in una confluenza degli interventi a sostegno dei nuclei familiari su un unico strumento di tipo assegno, parametrato al numero dei soggetti a carico e a un reddito equivalente capace di valutare l’intera situazione familiare, comprese le rendite immobiliari di mercato e i redditi finanziari, in un contesto di più chiara distinzione tra tassazione individuale del reddito personale e sostegno familiare. Anche le addizionali regionali e comunali all’Irpef darebbero il loro contributo alla razionalizzazione del sistema, trasformandosi in sovrimposte, la cui aliquota sarebbe decisa dai rispettivi enti territoriali.

Per un’azione di questa rilevanza si è ritenuto di poter allocare complessivamente risorse per circa 12 miliardi di euro, pari a meno di 0,8 punti di Pil, da reperire in parallelo con una effettiva spending review e con un contrasto dell’evasione che ha già mostrato in passato le sue potenzialità. I risultati, misurati mediante un modello di microsimulazione di tipo tax benefit sembrano mostrare un raggiungimento degli obiettivi, con una riduzione della concentrazione dei redditi, della povertà e del cuneo fiscale, e un incremento del supporto monetario per la cura dei figli.

In particolare, gli impatti possono essere così riassunti: un beneficio, in termini di incidenza sul reddito, osservabile su quasi tutta la distribuzione dei redditi individuali, ma concentrato su quelli equivalenti più bassi; un sostegno alle famiglie con figli accresciuto in generale, con particolare rilievo per i più poveri; la riduzione dell’entità e intensità della povertà; una riduzione del cuneo fiscale, nettamente più vigorosa per i redditi più bassi; aliquote marginali effettive gradualmente crescenti e senza i notevoli salti di vario segno che caratterizzano la situazione vigente. Le diverse migliorie che questa riforma conseguirebbe sono possibili proprio per il significativo degrado del sistema vigente. Tuttavia, un presupposto importante è la voglia del policy maker e, sullo sfondo, dei cittadini-elettori, di perseguire riforme strutturali e non interventi estemporanei.

Fernando Di Nicola è attualmente consigliere per le politiche fiscali presso il Dipartimento delle finanze del ministero dell'Economia; Ruggero Paladini insegna Scienza delle finanze presso Unitema Sapienza