Sabato scorso la Cgil è tornata a Roma. Stavolta in una piazza della periferia Sud, perché anche i luoghi hanno significato. Il nuovo diritto del lavoro che serve al Paese non può prescindere dalle condizioni materiali delle donne e degli uomini, dei giovani. Le periferie sono il simbolo della crisi in cui versa il Paese dopo anni in cui la politica ha scelto di non occuparsi di chi qui vive, ma di banche e imprese. A piazza San Giovanni Bosco, quartiere Tuscolano, hanno sventolato le bandiere rosse di chi ha ripreso a vincere e dare fiducia alle persone in carne e ossa.
 
Dopo l'abrogazione dei voucher e il ripristino della responsabilità solidale negli appalti, la Cgil è andata nella periferia fatta di senza-lavoro, di immigrati, di ampie fasce di disagio sociale, a impegnarsi perché la sua Carta dei diritti possa diventare legge per i diritti di tutte e tutti. Sia di quelli che un lavoro ce l'hanno, sia di chi non ce l'ha, sia di quanti hanno un lavoro precario e che non dà sicurezza di futuro.
 
L'impegno di non accontentarsi di un primo importante risultato ottenuto da un parlamento che ha voluto evitare un'altra figuraccia referendaria. Dopo quella incassata il 4 dicembre scorso sulla legge costituzionale che, proprio nelle periferie delle grandi città, ha registrato il giudizio più inappellabile di chi è stanco di arrivare sempre dopo o non arrivare affatto nella agenda di chi governa.
 
Lavoro e diritti sono le facce della stessa medaglia di un Paese che chiede cambiamenti veri in favore degli ultimi, diventati maggioranza nel paese. Con la Carta dei diritti universali, il Piano del lavoro presentato dalla Cgil nel 2013 deve diventare impegno politico concreto del governo in carica e di chi si candida a sostituirlo. Partendo dalla stabilizzazione dei precari della pubblica amministrazione.