Una proposta di legge regionale per favorire il reinserimento di lavoratori con problemi di disagio psichico attraverso lo strumento delle “borse terapeutiche”: è una delle idee lanciate stamattina, 22 febbraio, dalla Cgil dell’Umbria nel corso dell’iniziativa “La crisi ci rende matti”, promossa dallo stesso sindacato per riportare al centro dell’attenzione la connessione tra crisi economica e sociale, peggioramento delle condizioni di lavoro e incremento del disagio psichico, testimoniato anche da una vera e propria esplosione nell’uso degli psicofarmaci. In una sala della Partecipazione (palazzo Cesaroni, sede del consiglio regionale a Perugia) completamente gremita, la Cgil ha chiamato a confrontarsi esperti, docenti universitari e rappresentanti dei lavoratori, coordinati dal giornalista Fabrizio Marcucci di Ribalta.info, per ricercare appunto il nesso tra quello che accade nel mondo del lavoro (sempre più "mondo dei lavoretti”, come è stato sottolineato) e quello che si registra invece negli studi medici e nei centri sanitari della regione. 

“Noi crediamo - ha detto nella sua relazione introduttiva Vasco Cajarelli, della Cgil regionale - che sia compito del sindacato rimettere la questione della salute, e della salute mentale in particolare, al centro della contrattazione, sia con i datori di lavoro privati che con gli enti pubblici". Cajarelli ha poi sottolineato il dato, inquietante per l’Umbria, sull’incremento dell’uso degli psicofarmaci: nel 2014 siamo arrivati a 49,4 dosi giornaliere ogni mille abitanti (contro una media nazionale di 39,3), con un incremento dell’81% rispetto al 2005. Un dato che parla da sé e che si va ad aggiungere, peraltro, a quelli, altrettanto preoccupanti, illustrati da Mario Bravi, presidente dell’Ires Cgil regionale: 16,5% di Pil e 35mila posti di lavoro persi nell’ultimo decennio, con 240mila umbri che sono a rischio povertà secondo le ultime stime Istat.

Naturalmente, non c’è un rapporto diretto e verificabile tra crisi economica e occupazionale e boom degli psicofarmaci, ma è evidente, come hanno spiegato nei loro interventi Andrea Filippi (Psichiatra della Fp Cgil), Ambrogio Santambrogio (Università di Perugia) e Ivan Cavicchi (Università di Roma Tor Vergata), che un nesso tra la crescente frantumazione dei legami sociali, l’incertezza sul futuro, l’individualismo dilagante e la crescita esponenziale del disagio psichico anche tra i lavoratori, c’è ed è palese. 

Come porre rimedio a questo? Il sindacato, in particolare i Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (Rls) hanno strumenti importanti, come ha spiegato Stefano Garzuglia, rappresentante dei lavoratori per la Fiom Cgil all’interno di Ast, la più grande azienda della regione: “Noi abbiamo la possibilità di incidere nella stesura dei Dvr (documenti di valutazione dei rischi, ndr) ed è lì che dobbiamo insistere fortemente sullo stress lavoro correlato e su tutti gli altri aspetti che spesso le aziende tendono a sottovalutare”. 

LE LETTERE: dialogo possibile sul lavoro che non c'è più

Ma più in generale, per il sindacato è tempo di "riaprire una discussione seria sulle condizioni di lavoro, in un’ottica moderna, però, ovvero con la consapevolezza dei grandi cambiamenti che lo stesso mondo del lavoro ha subito”, ha detto nel suo intervento Franco Martini, segretario confederale della Cgil nazionale. Non più, dunque, soltanto una battaglia per la "salute in fabbrica”, asse portante dell'iniziativa Cgil negli anni ’70, ma una sfida più grande, per "restituire dignità al lavoro nella società". "Esattamente quello che la Cgil sta cercando di fare - ha concluso Martini - con i referendum su voucher e appalti e con la Carta dei diritti Universali: portare diritti, quello alla salute in primis, laddove diritti oggi non ci sono”. (fab.ri)