Nel decreto sui nuovi Livelli essenziali di assistenza (Lea), approvato con l’intesa Stato Regioni il 7 settembre scorso, la riduzione del danno viene per la prima volta inserita tra le prestazioni che il Servizio sanitario nazionale deve assicurare ai cittadini (articolo 28 comma 1 lettera k). Una novità attesa da anni e che apre un capitolo decisivo per la tutela della salute e l’assistenza socio-sanitaria delle persone con dipendenze patologiche. Non c’è ancora la definizione dei Lea dell’assistenza sociale, ma certo si tratta di un bel passo in avanti.

Con la riduzione del danno, una strategia di sanità pubblica largamente diffusa nel mondo e sancita nei documenti dell’Unione europa (vedi: Documento Ue 2013-2020 e Documento Ue 2003), si è voluto affermare che non è affatto vero ciò che nei decenni precedenti al 1990 si dava per scontato: che l’unica strategia possibile di contrasto alle droghe è quella che punta all’astinenza dal consumo. È invece possibile “ridurre il danno”, cioè migliorare la salute e la qualità della vita, e prevenire ulteriori malattie e sofferenze, dei tossicodipendenti o dei semplici consumatori di sostanze anche in presenza di un uso persistente o addirittura intensivo delle sostanze stesse. I primi fondamentali interventi – e le prime furibonde polemiche – si sono sviluppati intorno agli abusatori di eroina per via iniettiva, cioè quelli che venti anni fa (ma oggi non più) fornivano il paradigma stesso della tossicodipendenza in senso classico. Questa categoria di consumatori di sostanze veniva allora tragicamente falcidiata per due tipi di cause: le overdosi mortali e il contagio del virus Hiv (e di quello dell’epatite virale) dovuto all’uso ripetuto e diffuso della stessa siringa.

Tra mille contraddizioni, l’atteggiamento dei servizi pubblici cominciò a mutare; e anche quello del privato sociale più aggiornato e meno ideologico iniziò a modificarsi: in particolare, il Gruppo Abele di Torino e don Luigi Ciotti si esposero in prima linea a favore della “harm reduction”, oltre a sostenere con forza la svolta in questo senso compiuta dalla stessa Cgil nella metà degli anni novanta (convegno sindacale di Rimini, 1995). L’espressione inglese, divenuta canonica e tradotta in molte lingue, era stata usata per la prima volta da uno studioso britannico, Pat O’Hare, nel 1992. Esperimenti importantissimi in direzione della “riduzione del danno” erano stati effettuati alla fine degli anni ottanta e all’inizio del decennio successivo in Svizzera, Germania, Inghilterra e Olanda. La prima, elementare, eppure contestatissima misura era stata la diffusione gratuita e massiccia di siringhe sterili. Mentre nello stesso periodo prendeva piede l’uso sistematico del metadone – un derivato dell’oppio – per ridurre il bisogno compulsivo dell’eroina nelle situazioni più croniche.

Presto si è capito, fra gli operatori più aggiornati e motivati, sia dei Sert che del privato sociale, che il metadone è una forma di trattamento sanitario essenziale e salvavita, ma che la riduzione del danno è un’altra cosa e che non è riducibile alla sostituzione di siringhe (“mi dai quella usata e te ne do una nuova”) e alla distribuzione di preservativi. Si tratta di due misure essenziali – che sono anche oggi ben lungi dall’essere garantite su tutto il territorio nazionale –, ma che non esauriscono affatto le potenzialità di quella che in venti anni si è affermata come una vera e propria “filosofia” dell’intervento socio-sanitario in materia di droghe, accanto agli altri tre “pilastri” dell’azione pubblica sul terreno delle sostanze psicoattive: la prevenzione, la cura e la lotta al narcotraffico.

In Italia, la svolta è stata sancita a livello istituzionale da due Conferenze nazionali sulle droghe: quella di Napoli del 1997 e quella di Genova del 2000. Ma la controffensiva non ha tardato a farsi sentire, con la  vittoria elettorale di Berlusconi e Fini del 2001, seguita dalla campagna politico-ideologica sulle droghe e sull’immigrazione, condotta in prima persona dal leader della destra postfascista. L’approvazione della legge Fini-Giovanardi nel gennaio del 2006 è stata preceduta e seguita da una guerra feroce e silenziosa praticata giorno per giorno, servizio per servizio, contro la riduzione del danno e contro gli operatori più innovativi. In questo modo, la riduzione del danno è stata confinata a scelte regionali, perfino di singoli servizi, e come sperimentale. La conseguenza è stata spesso la precarizzazione cronica di operatori e di strutture che, in molti casi, non hanno nulla da invidiare, per dinamismo e capacità innovativa, ai più sofisticati modelli del Nord Europa.

Oggi, dopo l’intesa Stato-Regioni del 7 settembre, una nuova positiva svolta comincia a delinearsi. Certo non basta una riga dei Lea sanitari ad affermare la riduzione del danno come pratica dei servizi e come diritto esigibile dei cittadini. Come nel caso di tutte le altre prestazioni riconosciute nei Lea. Servono programmi, finanziamenti adeguati e soprattutto investimenti nella qualità del lavoro degli operatori, fattore decisivo per dare qualità ai servizi pubblici e del privato sociale, che insieme costituiscono il sistema di welfare per la tutela della salute e le cure nel campo delle dipendenze. Per questo abbiamo proposto che la prossima iniziativa del Cartello di Genova (che vede tra i promotori la Cgil insieme alla Funzione pubblica) sia dedicata anche all’attuazione dei nuovi Lea.

Stefano Cecconi è responsabile Cgil nazionale delle politiche della salute, non autosufficienza, terzo settore, dipendenze; Giuseppe Bortone si occupa di politiche per le dipendenze in Cgil nazionale