“La Francia è decisamente contraria, la Germania ha una posizione ambigua, mentre l’Italia, per bocca del ministro dello Sviluppo economico , Carlo Calenda, sembra schierata a favore”. Chi parla, è Elena Mazzoni, coordinatrice della campagna ‘Stop Ttip’, contro il trattato di libero scambio fra Europa e Stati Uniti, che oggi ai microfoni di RadioArticolo1 ha fatto il punto sul negoziato.

“In più, l’uscita dall’Unione del principale partner commerciale degli Usa, l’Inghilterra, dopo la Brexit, costituisce una forte perdita per i sostenitori del Trattato. Per molti, la distanza negli standard e nelle normative tra europei e americani non si può colmare, tanto che il vicecancelliere tedesco, Sigmar Gabriel, ha già parlato di fallimento delle trattative, mentre il viceministro del Commercio francese, Matthias Fekl, ha detto che, nel merito, non c’è più il sostegno politico del suo Paese. In questa ‘frenata’ dell’Ue sul trattato un ruolo importante l'ha avuto anche un rapporto votato il 5 luglio al Parlamento europeo in maggioranza, fatto da un'europarlamentare italiana, Eleonora Forenza di Altra Europa, che vincola la Commissione europea, nel momento in cui stipula trattati commerciali, a rispettare le clausole presenti nelle convenzioni firmate dall’Unione”, continua la coordinatrice.

“Per quanto riguarda la nostra campagna di mobilitazione contro il Ttip, abbiamo puntato sulla questione degli standard dell'agroalimentare, sui nodi dei tribunali speciali, su cui non ci si sposta nella negoziazione, perché gli Stati Uniti rifiutano la proposta di modifica del meccanismo di Isds, che è appunto l’arbitrato privato - un meccanismo di protezione dell'investimento straniero che permette alla multinazionale straniera di ricorrere a una giustizia privilegiata, piuttosto che ai meccanismi della giustizia ordinaria -. Nella riforma proposta dalla Francia, ma subito bocciata dagli Usa, s’introduceva un nuovo meccanismo con una Ics (International court system), che in realtà permetterebbe la stessa cosa, quindi sempre la possibilità di ricorrere a una giustizia privata, che però non sarebbe più così arbitraria come la precedente”, rileva Mazzoni.

“Insomma, il dato di fatto è che dal 2013 ci sono stati 14 incontri fra le parti, in totale assenza di trasparenza del mandato, ma manca completamente l’accordo, perché su nessuno dei 27 punti del negoziato si è registrata uniformità di vedute. Probabilmente, ciò si sta verificando anche alla luce di motivazioni di ordine politico: negli Stati Uniti siamo in piena corsa alla Casa Bianca, e sia Trump che Clinton non si sono mostrati favorevoli all'accordo; nel contempo, nel 2017 si terranno elezioni sia in Francia che in Germania, e quindi anche in Europa mancherebbe la legittimazione di coloro che subentrerebbero, ammesso ci sia una sostituzione ai vertici. Questo è un accordo importante, perché Usa e Ue hanno insieme il 46% del Pil mondiale e rappresentano un terzo del commercio globale; dunque, un rafforzamento dei loro rapporti potrebbe portare dei benefici in termini di potenzialità e affermazione nel contesto generale, soprattutto in riferimento all'ascesa dei paesi emergenti, come Cina e India. Da una parte, quindi, gli Stati Uniti sono orientati a farlo l'accordo, dall'altra, non hanno una grande convenienza, perché rappresentano l'unica potenza economica finanziaria con uno stato di salute soddisfacente”, prosegue Mazzoni.

“È vero pure che gli studi economici d’impatto fatti dal rapporto Ecorys parlano di una crescita del Pil per l'Europa pari allo 0,3% fino al 2030, e perciò i dati econometrici vanno ridimensionati. Si pensava che l’economia globalizzata avrebbe risolto tutti i problemi. Adesso invece riprendiamo uno strumento vecchio e lo reinseriamo perché vogliamo  mettere delle misure di protezione di fronte alla crescita di nuove economie. Anche questa è una diversa interpretazione del trattato, proveniente da una diversa concezione dell'economia. Ovviamente noi non siamo sostenitori dell'interruzione dei rapporti, però bisogna anche spezzare una lancia in favore della Wto”, aggiunge la coordinatrice.

“Infine, c'è un altro trattato - il Ceta tra Canada ed Europa -, il cui destino in qualche modo è legato al Ttip. Quel negoziato corre abbastanza speditamente, ma comunque contiene tutte le insidie del Ttip in chiave più ridotta. Il meccanismo di protezione degli investimenti - l'International court system della proposta francese - è stato accettato dal Canada. Poi c'è il ruolo delle corporazioni americane, molte delle quali, come Wallmart, Coca Cola, hanno delle società controllate canadesi, e quindi il Ceta potrebbe permettere loro di operare sui mercati dell'Unione europea in condizioni più favorevoli rispetto a quelle delle nostre imprese, anche in assenza del Ttip. Anche lì, c’è la questione della riduzione della protezione dei prodotti agroalimentari europei doc e dop. In una lettera al ministro Calenda noi abbiamo chiesto che ci sia una discussione approfondita sulle 1.500 pagine che compongono questo trattato. Comunque, il 16 settembre i capi di Stato dei 27 governi europei si riuniranno a Bratislava in consiglio, per discutere dell'Europa dopo la Brexit, e sicuramente anche del Ceta e del Ttip”, conclude Mazzoni.