Il nostro Paese rischia di essere trascinato nel conflitto libico in un clima di indifferenza e di assuefazione che preoccupa fortemente. C’è reticenza da parte degli organi di stampa e del governo sul reale coinvolgimento dell’Italia e sul suo ruolo in questa nuova guerra. Noi pensiamo – così come ha sempre fatto la Cgil nella sua storia di partecipazione al movimento pacifista italiano e internazionale – che l’Italia, attraverso le decisioni del suo Parlamento, debba mantenere la posizione di netta contrarietà, in coerenza con l’articolo 11 della nostra Costituzione, non cedendo alle pressioni dei vertici militari statunitensi, che si stanno predisponendo per una decisa azione militare. 

Un intervento non giustificabile con la richiesta di uno dei due governi presenti nel Paese, contro il quale si sono già espresse forze politiche e tribù libiche diverse dal governo Serraj, che hanno chiesto aiuti umanitari, logistici, tecnici e strumentali per combattere contro la presenza dell’Isis. Rispondere alle loro richieste è un primo passo per affermare un ruolo positivo del nostro paese nella lotta preventiva, politica e culturale, al terrorismo e al radicalismo islamico. 

Per questo insieme di ragioni eravamo e restiamo contrari a un intervento militare occidentale in Libia e alla partecipazione italiana, sia diretta che indiretta, ai bombardamenti che, con il pretesto di combattere il terrorismo, intervengono a sostegno di uno dei due governi attualmente presenti nel Paese che non è certo rappresentativo, per quanto “internazionalmente” riconosciuto, dell’insieme delle comunità e dei gruppi che lì coabitano. 

Siamo dentro fenomeni epocali, conseguenza di scelte politiche disastrose e di interventi armati a guida Usa giustificati come lotta contro dittature e terrorismo: ma, come sappiamo dalle guerre in Afghanistan e in Iraq – che hanno ampliato lo spazio fisico e politico del terrorismo - l’obiettivo è sempre stato quello del controllo di territori e risorse e di un assetto geopolitico spartitorio tra le grandi potenze; una competizione della quale porta gravi responsabilità anche la Russia. 

La guerra che si combatte tra le grandi potenze in oriente e nei Paesi africani è la principale ragione di una tragedia senza fine, che si autoalimenta dentro un groviglio di interessi, di Stati, di sigle e di gruppi, giustificando dittature di ogni natura, mentre usano e alimentano il terrorismo del sedicente Califfato. Queste guerre hanno contribuito ad alimentare dittature e terrorismi di ogni genere, e con la miseria e la povertà che hanno prodotto, sono state e sono spesso la causa di una migrazione di massa che solo i razzisti e gli ipocriti possono pensare di affrontare con la repressione e i respingimenti. 

L’Europa deve saper promuovere un’azione comune che metta insieme le forze per affrontare questa sfida in modo serio e rispettoso della dignità umana. Questo ancora non è dato, mentre l’ambiguità verso il regime turco di Erdogan e la repressione fascista in atto in quel paese impediscono che si reindirizzino in modo più adeguato i fondi messi a disposizione per fronteggiare il fenomeno dell’immigrazione. 

L’insidia del conflitto armato tra civiltà o tra religioni si sconfigge togliendo ai terroristi e alla loro azione criminale qualsiasi sostegno culturale, economico e politico, la protezione delle petromonarchie del Golfo (finora principali alleate di Usa e Ue, le quali devono radicalmente cambiare politica nei loro confronti) e la possibilità di continuare a fare affari con il petrolio e altri traffici. Un’insidia che si sconfigge anche denunciando chi strumentalizza e usa l’idea infondata di una guerra di religione per promuovere scelte militari o semplicemente repressive, rimuovendo le ragioni economiche, sociali e politiche, le ingiustizie e le diseguaglianze che sono le vere ragioni di un mondo non pacificato e in guerra permanente. 

Giacinto Botti è membro del direttivo nazionale Cgil e referente nazionale di Lavoro Società