La grande riforma del sistema penitenziario del 1975. E poi, nel 1986, la legge Gozzini con le misure alternative alla detenzione, quindi la Simeone e, nel 2014, le legge n° 67: quella che ha introdotto nel nostro ordinamento la “messa alla prova” che sospende il procedimento penale in corso. Quarant’anni di riforme importanti che hanno cercato di interpretare in profondità lo spirito dell’articolo 27 della nostra Costituzione: quello secondo il quale la pena deve avere una funzione rieducativa – piuttosto che semplicemente punitiva – e puntare al reinserimento del “reo” nella società.

Il carcere dovrebbe dunque sempre più rappresentare l’extrema ratio a cui ricorrere rispetto all’esecuzione esterna della pena: affidamenti ai servizi sociali, comunità, semilibertà, libertà condizionale eccetera. Tra le leggi e la realtà, però, spesso la distanza è grande. Perché questo impianto funzioni ci vogliono investimenti e risorse qualificate: le norme non bastano. E qui la situazione si fa molto difficile: in tutta Italia lavorano negli Uepe (gli Uffici per l’esecuzione esterna della pena) appena 975 assistenti sociali e 24 dirigenti. Per i sindacati servirebbero almeno 1.300 assistenti sociali e 50 dirigenti, per un lavoro immane e delicato che richiede tempo e concentrazione massima su casi complessi e difficili che coinvolgono colpevoli, vittime, famiglie e intere comunità. E invece i numeri sono ancora una volta impietosi. Nel nostro paese il rapporto tra operatori e utenti è di 1 a 200. Nei paesi in cui il sistema di probation (cioè l’esecuzione esterna) è più diffuso ed efficace, come Galles e Inghilterra, è di appena uno a 30. Provate a immaginare cosa voglia dire per un assistente sociale dover seguire 200 casi.

Giustizia precaria 
Insomma, tra gli 8.500 lavoratori che mancano nei tribunali, carenza di giudici e i buchi in questo altro settore così importante, la giustizia italiana non se la passa bene. Accusata da tanti di non funzionare, arranca tra tagli e mancati investimenti. “Va detto – spiega Nicoletta Grieco – responsabile giustizia della Fp Cgil – che con il ministro Orlando un cambio di passo rispetto all’esecuzione della pena si è cominciato a vedere. In particolare con la creazione di un Dipartimento della giustizia minorile e di Comunità che tiene insieme tutta la materia dell’esecuzione esterna della pena. Ma naturalmente non basta: servono nuove risorse e una formazione adeguata per il personale . Altrimenti si rischi di sommare solo delle povertà”.

Il dipartimento in questione è stato istituito con il Dpcm 84/2015 ed è guidato da Francesco Cascini, che tra le altre cose è stato Pm a Locri dal 1996 al 2001. “Concordo con quanto detto – spiega –. È oggettivo il fatto che gli uffici siano in una situazione di grandissima difficoltà, tenuto conto anche del fatto che negli ultimi anni sono state fatte riforme che ne hanno aumentato enormemente i carichi di lavoro. Va detto però che, nonostante tutto, gli Uepe funzionano abbastanza bene. In ogni caso, per questo scorcio di anno grazie al ministro abbiamo ottenuto una variazione del bilancio interno di un milione di euro immediatamente disponibile e poi un altro milione e mezzo di euro dal Fug (il Fondo unico giustizia, ndr) che serviranno per migliorare gli uffici dal punto di vista della gestione delle risorse materiali”. Sono interventi non risolutivi, ma che, aggiunge il magistrato, “danno un po’ di respiro, soprattutto perché ci permettono di impiegare esperti in psicologia, assistenza sociale e criminologia utili per migliorare l'attività di osservazione e di trattamento all'interno degli istituti penitenziari e per incrementare ancora il numero delle persone che possono accedere alle misura alternative”.

Cascini: "L’impegno è quello di trovare altre risorse nella prossima legge di stabilità per avere una dotazione economica specifica da destinare al dipartimento"

Non basta, aggiunge il dirigente, “ma l’impegno mio e soprattutto del ministro è quello di trovare altre risorse nella prossima legge di stabilità per avere una dotazione economica specifica da destinare al nuovo dipartimento”. Per Cascini, tuttavia, se la scelta è quella di portare sempre più persone fuori dal carcere, “l'esecuzione penale dovrà avvicinarsi sempre più a un modello di intervento sociale e questo, per quante assunzioni si possano e debbano fare, non può riuscire senza una condivisione dell’impegno con le comunità e gli enti che operano nei territori e che debbono partecipare ai diversi progetti di reinserimento sociale”. Qualcosa si muove, aggiunge il capo dipartimento, che ricorda “un importante accordo con la regione Lazio per alcuni centri di mediazione e giustizia riparativa rivolti ai minorenni”.

Gli impegni e la realtà 
Gli impegni di Cascini vengono accolti con favore dai sindacati: “Bene la richiesta di risorse nella legge di stabilità e bene l'ammissione della necessità di nuove assunzioni – riprende Grieco –. È vero che gli uffici fanno nonostante tutto un gran lavoro, ma il personale sostiene una mole di lavoro impressionante e, inoltre, ha un'età media piuttosto alta, siamo intorno ai 55 anni. Abbiamo bisogno di giovani motivati e stabilmente formati come ci chiede l’Europa”.

Le testimonianza che arrivano dai territori, in effetti, sono drammatiche. “In tutta la Campania siamo appena in otto – racconta Clelia Toscano, assistente sociale che opera a Napoli con i minori –. Lavorare in queste condizioni è durissimo. Prendiamo in carico i giovani sin da quando sono a piede libero, li seguiamo nel percorso delle pene alternative, nelle misure cautelari, nella detenzione, magari durante la messa alla prova. Ci occupiamo anche delle vittime di abusi. In territori dove i servizi sociali mancano o sono ridotti all’osso. Insomma, un lavoro enorme che usura e crea situazioni di burn out insostenibile”. In un lavoro come questo, gli unici “strumenti” utili, quelli attraverso cui passano contenuti, valori educativi, ascolto, sono le persone e “se mancano le persone – conclude Toscano – manca tutto”.

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Se ci si sposa al Nord, la musica non cambia. Michela Vincenzi, assistente sociale, lavora con gli adulti all’Uepe di Venezia e racconta: “In tutto il Triveneto ci sono appena 61 operatori per sette uffici di direzione penale più le sedi di servizio. Al 30 aprile avevamo 8.229 persone in carico, cioè 137 a testa. Il caso più clamoroso è quello di Trento, dove operano tre assistenti sociali, con 88 persone ‘messe alla prova’ ma altre 248 ancora in attesa perché con queste carenze non si riesce ancora a predisporre un programma”. La messa alla prova, istituto di grande civiltà giuridica, che sospende il procedimento e può condurre all’estinzione del reato, necessità di un lavoro molto complesso con le persone: “Ma in queste condizioni è molto difficile garantire standard adeguati”, attacca Vincenzi. Per esempio, aggiunge, il coinvolgimento degli enti locali è fondamentale perché i lavori di pubblica utilità si svolgono prevalentemente presso uffici pubblici: “Noi stessi ci siamo caricati dell'onere di preparare il territorio, ma poiché gli Uepe non sono stati decentrati uno per provincia, l’ufficio di Venezia ha la competenza anche su Treviso e Belluno. Io percorro circa 12.000 chilometri all'anno per allacciare rapporti con i diversi soggetti”. Una situazione insostenibile, anche perché si somma a tutto il resto del lavoro.

In tutta la Campania ci sono solo otto assistenti sociali che lavorano con i minori e al Nord la situazione non è migliore

Non se la passa meglio un altro pezzo fondamentale dell’esecuzione penale esterna, quello della polizia penitenziaria, cui pure la riforma e il potenziamento del servizio affida un ruolo molto importante, quello dei controlli di polizia giudiziaria. “Ma per fare questo – argomenta Massimiliano Prestini, coordinatore del comparto per la Fp Cgil – serve prima di tutto una formazione adeguata e poi più personale disponibile. A oggi la nostra dotazione organica è di 45.325 agenti, ma il personale ammonta effettivamente a 37.963 unità. Mancano all’appello 7.362 lavoratori e la situazione peggiora continuamente, perché a fronte di 1.300 tra pensionati o inidonei ogni anno, si fanno poco meno di 500 assunzioni. Come se non bastasse, poi, quest’anno il concorso è stato sospeso per irregolarità nelle prove d’esame e le assunzioni rischiano dunque di saltare”. Insomma, aggiunge l’agente, “noi condividiamo il progetto di riforma, ma abbiamo bisogno di investimenti in formazione e assunzioni”. Proprio in questi giorni, la Fp Cgil di Roma e Lazio ha denunciato una situazione esplosiva: "Turni di 16/18 ore di lavoro ininterrotto, impossibilità di programmare la propria vita in quanto spesso richiamati in servizio per mancanza di personale, vigilanza a vista dei detenuti, posti di lavoro fatiscenti e lontani dagli standard previsti dalla legge per la sicurezza dei lavoratori, mancati controlli sanitari sull'idoneità fisica come previsto dalle norme, da ultimo in questo periodo, impossibilità di organizzare un qualsiasi piano ferie che sia degno di questo nome salvo che il personale rimanente non si attivi attraverso doppi e tripli turni di lavoro". 

Sono racconti, questi, che non sorprendono Grieco: “Aggiungo che se il sistema tutto sommato regge, è solo grazie all’impegno delle lavoratrici e dei lavoratori e alle loto grandi competenze professionali. E tuttavia il grido di dolore che arriva da loro è altissimo e vanno date delle risposte. Non va poi sottaciuto il fatto che a questi compiti gravosi non corrispondono riconoscimenti professionali ed economici adeguati. Come per tutti gli altri ‘pubblici’, il contratto è bloccato e il salario accessorio risulta totalmente inadeguato”. Questo dunque è l’altro grande tema: “Oltre alle nuove assunzioni – conclude la sindacalista – serve un giusto riconoscimento per chi opera in un settore così importante per il grado di civiltà di un paese”.

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