E' arrivato il giorno dell'atteso incontro fra sindacati e Aran per l'intesa sulla riduzione a quattro dei comparti pubblici, in programma per oggi (4 aprile) Si tratta di un passaggio molto importante, atteso da diverse settimane, perché la nuova geografia dei comparti di contrattazione del pubblico impiego aprirà la porta alla trattativa per il rinnovo dei contratti.  Un rinnovo non è più rinviabile,che si attende da circa otto anni, e che è stato stimolato con forza anche dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 178/2015. 

Il dimensionamento dei comparti dovrebbe portare alla formazione di 4 grandi contenitori: sanità, poteri locali, conoscenza (università, ricerca, scuola, alta formazione artistica e musicale) e poteri centrali (ministeri, agenzie fiscali, enti non economici), mantenendo l’unitarietà del settore della conoscenza. 

I sindacati puntano a trovare un accordo che tuteli la specificità salariali e professionali, oltre all'autonomia dei lavoratori della conoscenza, e arrivare così alla sottoscrizione dell’accordo definitivo per affrontare finalmente il percorso atteso del rinnovo contrattuale.

Si tratta di questioni di non poco conto, sia per l'articolazione della contrattazione collettiva, sia per la rappresentanza sindacale. A ogni comparto infatti, corrisponde un contratto nazionale con relative retribuzioni base, che dovranno essere in qualche modo armonizzate per i nuovi assunti.

L'architettura dei comparti è stata definita da tempo, dopo una lunghissima trattativa che ha permesso l'abbandono della più drastica ipotesi che prevedeva la divisione in tre. Dalla divisione, però, dovrebbe rimanere esclusa la presidenza del Consiglio, che probabilmente rimarrà un comparto a sé dal momento che nessuno dei decreti attuativi della riforma Brunetta ha affermato il contrario.

L'intesa appare necessaria per avviare le trattative sul rinnovo che, come hanno ribadito i tribunali, devono decorrere dal 30 luglio scorso, giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della sentenza 178/2015, e non dal 1° gennaio come previsto dal Governo. 

Sul piatto, però, ci sono solamente i 300 milioni provenienti dalla legge di stabilità, che si tradurrebbero, secondo tutte le sigle sindacali, in una “mancia” di pochi euro per i lavoratori.  Inoltre, lo scetticismo riguarda anche le condizioni normative vigenti sulla valutazione del merito che in base alle legge Brunetta assegna il 50% delle risorse per la produttività a premi individuali, con evidenti discriminazioni per i sindacati. L'accordo nel tavolo di oggi, però, costringerebbe il governo ad affrontare la situazione, sbloccando osì uno stallo che dura ormai da troppo tempo.