Con il suo ingresso formale nel mondo del lavoro la precarietà, una volta legata a eventi straordinari e spesso drammatici della vita, è progressivamente passata dall’area della eccezionalità a quella della normalità. Ed è diventata paradigmatica del nostro tempo. Un passaggio dovuto alle trasformazioni del lavoro, agli interventi normativi, ma anche ai cambiamenti sociali, alla ricerca, per le generazioni nate dopo gli anni settanta, di modelli di vita personale e professionale alternativi ai modelli tradizionali che mettessero in gioco abilità e competenze, curiosità e maggiore autonomia nel e del lavoro. Come ha ben documentato, tra il 2001 e il 2015, su l’Unità Bruno Ugolini nella rubrica “Atipiciachi”.

Una carrellata di volti e storie che raccontavano gli entusiasmi del lavoro e delle vite scelte, insieme ai problemi e ai limiti gravissimi di un diritto del lavoro rimasto però ancorato a vecchi schemi. Il sindacato, la Cgil, ha cercato nel tempo soluzioni e risposte a quei problemi, come Ugolini ricostruisce nelle pagine di “Vite ballerine”, riconoscendo al sindacato, finalmente, di non essere stato immobile davanti ai cambiamenti, ma di avere cercato di comprenderli e reagire. Se è vero che non siamo stati efficaci come avremmo voluto, è però altrettanto vero che siamo stati i primi a provare a dare risposte, e a tentare strade e iniziative per arginare quanto stava accadendo. Lo abbiamo fatto inventandoci nuove forme di rappresentanza e di lotta.

Da un lato Nidil, le Nuove identità di lavoro, la categoria della Cgil nata nel 1999 per dare voce e identità appunto ai nuovi lavoratori “atipici” spesso per imposizione, ma spesso anche per loro stessa scelta, perché diversi dal lavoratore subordinato tradizionale, più indipendenti, autonomi nei tempi e nelle modalità, sebbene non del tutto e quindi formalmente dipendenti. Dall’altro con forme di protesta e rivendicazione nuove, aderenti non solo al diverso sentire di una generazione giovane e vivace, caratterizzata da un elevato livello di scolarizzazione e lettura dei fenomeni sociali e globali, ma anche a modalità più compatibili con le loro professioni e i loro contratti. Come con la straordinaria campagna di denuncia sulla mancanza di diritti e riconoscimento delle prestazioni lavorative dei giovani, tra stage, tirocini e nuovi ingressi, che chiamammo “Non più disposti a tutto”, basata su annunci di lavoro paradossali eppure così simili alle tante offerte che si incontrano ogni giorno.

Insieme a questi strumenti più diretti, in Cgil abbiamo forzato, così come si era fatto per la rappresentanza femminile prima, la rappresentanza di quelle professioni e di quelle generazioni includendole nei nostri organismi per dare loro non solo voce ma anche peso nell’assunzione di decisioni e politiche sindacali. Eppure non è bastato. Perché il mondo del lavoro, come ci racconta Ugolini attraverso le voci di Paolo, Federico, Marianna, Sissi, Maristella e Sofia, ha proseguito la sua trasformazione, cambiando ancora, diventando sempre più flessibile e perdendo sempre più tutele e diritti, in un gioco al ribasso in nome di una pretesa modernità a senso unico, di un cambiamento obbligato nella direzione di una sempre peggiore condizione e debolezza del lavoratore. Spostando di fatto il baricentro delle tutele dal soggetto debole a quello contrattualmente più forte, l’impresa.

Nasce qui, dalle storie come quelle raccontate da Bruno e da questa consapevolezza di non essere riusciti a fare abbastanza, la nuova sfida che la Cgil ha lanciato in questo inizio di anno, un nuovo Diritto del lavoro, una nuova Carta fondamentale dei diritti universali del lavoro che – come recita il titolo che abbiamo scelto –, stravolge innovando davvero, cambiando sì, modernizzando, anticipando addirittura nuovi e futuri modelli di lavoro, riportando il baricentro delle tutele e delle norme là dove è giusto che sia, dalla parte dei soggetti contrattualmente più deboli, i lavoratori.

La Carta dei diritti fondamentali del lavoro, rovesciando la prospettiva che ha guidato le tutele del lavoro fino a oggi, parte dall’assunto che esistono alcuni diritti fondamentali del lavoro indisponibili alle deroghe e soprattutto universali. Senza distinzione tra lavoratori dipendenti e autonomi, tra free lance che rivendicano la loro specificità professionale e partite Iva, vere o false, per i lavoratori occasionali, temporanei, somministrati. Un cambiamento epocale, come epocale è stato ed è ancora il cambiamento dell’organizzazione e delle modalità di lavoro in questo tempo, che mette finalmente ordine e spazza via presunti privilegi e discriminazioni perché riunifica tutti i lavoratori e riconosce loro titolarità nei diritti.

Tra le righe di “Vite ballerine” ci sono tutti i perché di questa sfida impegnativa che la Cgil ha voluto intraprendere. Per dare risposte efficaci a Paolo, Federico, Marianna, Sissi, Maristella e Sofia e ai lavoratori di domani.