Sono trascorsi cinque anni dal referendum con cui 27 milioni di italiani dissero sì a all’acqua come bene comune. Oggi quel volere popolare è disatteso e alcuni provvedimenti del Governo Renzi vanno in direzione contraria. Ma cosa sta accadendo e perché si accelera sulla privatizzazione del servizio idrico? A questi interrogativi ha risposto Fabrizio Solari, segretario confederale Cgil, intervenuto stamattina a Italia parla, la rubrica di RadioArticolo1 (ascolta il podcast integrale).

“La cosa è assai complessa – ha esordito il dirigente sindacale –. In realtà, è una parte della delega della riforma della pubblica amministrazione e, nella fattispecie, si tratta del riordino delle cosiddette società partecipate e dei servizi pubblici locali. Intendiamoci, l'argomento è serio, perchè le 8.000 partecipate esistenti hanno bisogno di essere riviste e razionalizzate: ci sono le cosiddette società strumentali che lavorano per la pubblica amministrazione e offrono servizi a comuni e regioni; poi ci sono società che hanno rilevanza economica, le ex municipalizzate, che erogano il gas, gestiscono il ciclo dei rifiuti, il trasporto pubblico locale e anche l'acqua. Nel mare magnum della riforma, di cui sono ancora sconosciuti i dettagli, perché il testo definitivo del decreto attuativo non è ancora disponibile, si affronta anche la questione dell'acqua. Ricordo che la filosofia di fondo del referendum era che l'acqua, in quanto necessaria e fondamentale per la vita, non poteva essere un oggetto affidato al mercato come tutti gli altri, ma necessitava un punto di attenzione”. 

“Inserire un bene primario comune nelle logiche di mercato – ha detto l’esponente Cgil –, comporterebbe che il prezzo dell'acqua potrebbe seguire la logica del profitto, mettendo in discussione, dal punto di vista della maggioranza degli italiani, un diritto ritenuto fondamentale e strettamente connesso con la vita delle persone, che, in quanto tale, non dovrebbe essere assoggettato alla logica del mercato. Il problema è che l'acqua, quando sgorga è gratuita, ma poi bisogna portarla nelle case degli italiani, con un costo relativo, non tanto alla gestione, ma soprattutto agli investimenti nelle reti necessarie, che nel nostro Paese sono particolarmente vetuste, con perdite rilevanti. Dal comitato in difesa dell'acqua alle associazioni delle aziende, tutti concordano che sarebbero necessari, nei prossimi dieci anni 50 miliardi d’investimenti in infrastrutture di rete: è evidente che quel capitale investito ha un costo e va trovato il modo di coprirlo. Quindi, i casi sono due: o se ne occupa la fiscalità generale, ma non siamo in condizioni di fare un'operazione del genere; oppure, come più volte abbiamo sostenuto, pur aderendo al referendum: attenzione! Bisogna evitare che la logica di mercato si mangi anche questo servizio, e, dicemmo allora e diciamo oggi, serve una legge di riordino. Va trovato un punto di equilibrio, però il risultato non può essere un prezzo finale dell'acqua che è una variabile indipendente, perché così si contraddirebbe lo spirito del referendum. Quello che non si può fare, perchè onestamente è sbagliato, è legificare non tenendo conto del parere della maggioranza degli italiani”. 

“Credo si debba prevedere il concorso della finanza pubblica, della fiscalità generale, per abbattere gli oneri d’investimento – ha osservato ancora il segretario confederale –. In secondo luogo, le modalità di gestione devono essere scelte dagli enti locali. C'è una normativa generale che riguarda l'intera Europa sui servizi locali, che ammette sostanzialmente tre forme di gestione: una gestione in concorso con i privati, una gestione di affido verso i privati, e una gestione, cosiddetta in house, direttamente dagli enti locali. Queste forme convivono in tutta l’Unione, ed è sensato confermare tali possibilità anche per il nostro Paese. Poi noi rivendichiamo una gestione saldamente in mano pubblica, ma stiamo ragionando del come si può fare, aggiungendo una quarta fattispecie, senza corrispettivo a livello comunitario, che praticamente impedisce per le aziende a rete la possibilità di un utilizzo della forma dell'azienda speciale. Tale limitazione va tolta, non perché si debba per forza fare un'azienda speciale, ma impedirla per legge, è un atto che va contro la filosofia del referendum. Oltretutto, in alcune aree del Paese, tra l'altro quelle più efficienti, soprattutto nel Nord-Centro Italia, già ci sono le cosiddette multiutility, cioè aziende quasi sempre a controllo pubblico, che hanno messo insieme diversi tipi di servizi. È chiaro che società di questo tipo sono a controllo pubblico, ma quotate in Borsa, e hanno al proprio interno diversi cicli produttivi. Ripeto, il segreto è arrivare a un punto di equilibrio, in cui si riconosca esplicitamente che sull'acqua c'è qualche requisito in più da garantire, rispetto ad altri servizi”. 

“Infine, sulla privatizzazione delle reti – ha concluso il sindacalista –, l'orientamento del Governo è che le reti, di norma, restano pubbliche. Questo è avvenuto per Terna, per quanto riguarda la grande distribuzione dell'energia elettrica, ed è avvenuto con Snam rete gas. Pare che anche sulla quotazione in borsa della Ferrovie dello stato, s’immagini un trattamento separato per la rete ferroviaria. Una cosa è certa: c'è un gran bisogno d’investire nelle reti, a partire da quei 50 miliardi, di cui parlavamo per le reti idriche. Tra l’altro, essendo investimenti a redditività differita, cioè rientrano con certezza, ma in tempi medio-lunghi, è esattamente quel tipo d’investimento che può essere utilizzato da un risparmio privato che non vuole correre i rischi dell'andamento volatile della Borsa. E sarebbe interessante trovare strumenti che incanalino il risparmio in tale direzione: in questo modo, non faremmo rischiare i pochi risparmi agli italiani e daremmo sicuramente un contributo al lavoro immediato per chi le opere dovrà realizzarle, con un miglioramento della capacità del Paese di essere in grado di rispondere all’innovazione con reti che siano all'altezza della situazione, sufficientemente nuove e moderne per poter garantire servizi efficienti”.

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