Domenica 15 e lunedì 16 novembre, i capi di Stato e di governo dei paesi del G20 si riuniranno ad Antalya. Come per le precedenti riunioni del G20, nei due giorni a ridosso del vertice – vale a dire il 13 e 14 novembre – anche i sindacati dei paesi interessati si incontreranno nella città della costa mediterranea turca per dar vita a L20 – L sta per Labour –, il vertice sindacale rappresentativo dei lavoratori e delle loro organizzazioni al livello della struttura che raggruppa le 19 economie più forti del pianeta più l’Unione europea. Per il mondo del lavoro la riunione sarà l’occasione per mettere al centro della discussione e del confronto con i leader e con i decisori politici dei paesi del G20 le questioni sulle quali si concentrano le maggiori preoccupazioni e, al contempo, le principali sfide che il mondo dovrà affrontare negli anni a venire. Tra esse, ve ne sono alcune che assumono una particolare rilevanza.

La prima riguarda le politiche economiche e le dinamiche salariali su scala globale. Un recentissimo sondaggio sui salari e sulle condizioni economiche dei lavoratori in 7 dei paesi del G20 – sondaggio condotto dalla Csi, la Confederazione sindacale internazionale – dimostra come le politiche di austerità siano fallite e abbiano lasciato dietro di sé solo conseguenze negative per il mondo del lavoro e per i salari. Sia l’austerità rigida, sia quella cosiddetta espansiva, hanno aumentato le disuguaglianze su scala mondiale e hanno prodotto una diminuzione del reddito disponibile per i lavoratori e per le loro famiglie.

Il 53% degli intervistati dichiara di ricavare dal proprio lavoro un reddito inferiore al costo della vita, mentre circa il 50% dichiara che le entrate complessive del proprio nucleo familiare sono rimaste uguali o sono addirittura diminuite rispetto all’anno precedente. E, si badi bene, qui si sta parlando di lavoratori di paesi che messi insieme rappresentano la metà dell’economia mondiale, non di paesi poveri o in via di sviluppo. Per questa ragione, in Europa come nel resto del mondo, occorre archiviare la stagione dell’austerità e riprendere la strada della crescita, degli investimenti produttivi, dell’equa ripartizione della ricchezza.

La lotta alle tante disuguaglianze che rendono il mondo ingiusto passa attraverso la creazione di buona e stabile occupazione, gli interventi pubblici nei settori strategici e nelle attività di ricerca e innovazione, l’aumento dei salari attraverso la contrattazione collettiva, la riforma della finanza e delle banche. In aggiunta, vanno messi in campo interventi concreti per il lavoro giovanile, trasformando in impegni politici per gli Stati i G20 Principles on youth unemployment, così come è necessario aggiornare e potenziare i piani per l’occupazione femminile e per le politiche legate all’andamento demografico e all’invecchiamento attivo.

La seconda grande questione riguarda l’ambiente e il tema cruciale del cambio climatico. Lo slogan della Csi al riguardo è chiaro ed efficace, quanto duro come un pugno nella stomaco: No jobs on a dead planet, che non ha bisogno di particolari spiegazioni. Se muore il pianeta muore il lavoro, si potrebbe dire. E tutto ciò che accade, dal progressivo aumento delle temperature sulla Terra all’accelerazione nel processo di scioglimento dei ghiacciai, dall’inquinamento dell’aria e dell’ambiente marino alle malattie indotte da emissioni fuori controllo, dimostra come il mondo abbia bisogno di scelte politiche coraggiose e di prospettiva per invertire la tendenza.

In questo senso, anche in vista della grande conferenza Cop 21 e delle discussioni sul clima e l’ambiente che avranno luogo a Parigi in dicembre, i sindacati chiederanno ai capi di Stato e di governo del G20 che venga confermato l’impegno a raggiungere lo stanziamento di 100 miliardi di dollari l’anno per le azioni concrete volte ad affrontare i temi posti dal cambio del clima e a destinare risorse sufficienti ai paesi più vulnerabili, con una maggiore attenzione all’equilibrio tra mitigazione delle conseguenze e adattamento ai nuovi standard. È per questo che tra le richieste del sindacato ci saranno anche l’impegno verso l'efficienza energetica e il raggiungimento di obiettivi più ambiziosi per quanto riguarda le energie rinnovabili, insieme alla necessità di destinare risorse adeguate tanto al processo di transizione equa verso un’economia a basso consumo di carbone e di fossili, quanto la realizzazione di centrali e di infrastrutture climate-friendly.

Il tutto nella consapevolezza che ciò richiede interventi per la formazione professionale e la riqualificazione dei lavoratori, soprattutto per quelle realtà in cui la transizione necessaria rischia di causare le conseguenze economiche e sociali più rilevanti. La terza questione di particolare urgenza riguarda la crisi dei rifugiati e le sue conseguenze, un tema che non potrà non essere affrontato, visto anche che il vertice si svolgerà in Turchia, una delle aree del mondo in cui il permanere e l’estendersi dei conflitti e delle guerre, a partire da ciò che accade nella vicina Siria, stanno causando una vera e propria catastrofe umanitaria. Al G20 il sindacato internazionale chiederà di passare dalle parole ai fatti e di intraprendere azioni politiche concrete e immediate sulla crisi dei rifugiati.

Ciò che serve è un impegno diretto volto all’accoglienza dei rifugiati e dei richiedenti asilo, insieme alla necessità che a essi siano assicurate dignitose condizioni di vita nei campi e nei centri di accoglienza, all’insegna di umanità e rispetto dei diritti umani. Allo stesso tempo, la richiesta sarà quella di considerare le dinamiche migratorie come un possibile fattore di sviluppo e di ricchezza, oltre che di contributo alla sostenibilità dei sistemi di protezione sociale nei paesi più interessati dal fenomeno. In questo senso, appare sempre più urgente l’elaborazione di politiche volte a favorire l’accesso dei migranti al mondo del lavoro legale, sia per sottrarli alle pratiche di sfruttamento, sia per impiegare nel modo migliore un potenziale di conoscenze, di preparazione scolastica, di competenze professionali utile per i paesi che accolgono e che, non di rado, presenta caratteristiche di qualità.

Per rendere più evidente il carattere dell’urgenza nell’affrontare la crisi dei rifugiati, specie ora che l’inverno si avvicina e con esso l’inevitabile peggioramento delle condizioni già terribili di vita dei profughi, la Confederazione sindacale internazionale ha organizzato per domani (12 novembre) una missione nel campo container di Gaziantep, al confine tra Turchia e Siria, dove hanno trovato una momentanea e comunque precaria sistemazione migliaia e migliaia di siriani e di altri esseri umani in fuga dalle guerre in Medio Oriente e in Africa. La Cgil sarà lì, con una delegazione di sindacalisti da ogni continente, per portare la testimonianza della propria solidarietà con chi vive in prima persona le conseguenze della guerra e dell’impegno per costruire la pace e la convivenza civile in tutto il mondo.

*Coordinatore area politiche europee e internazionali Cgil