Mirto Bassoli, della segreteria della Cgil dell'Emilia Romagna risponde a due domande su un tema di grande attualità.

Gli ultimi dati disponibili mostrano un rallentamento della dinamica migratoria verso l'Emilia-Romagna, analogamente a quello che avviene anche a livello nazionale. Quali pensi possano essere le cause di questo fenomeno e quali le conseguenze per il futuro?

Dopo oltre due decenni di crescita molto rilevante, l'immigrazione straniera in Emilia Romagna ha iniziato a rallentare. Rappresentava l'1,1% del totale della popolazione residente nel '93 (percentuale pressoché identica a quella nazionale); ha raggiunto il 12,5% nel 2013, per poi iniziare un seppur modesto calo. I dati, tuttavia, non indicano una vera e propria inversione di tendenza, tale da mettere significativamente in discussione quanto avvenuto in questi anni: stiamo parlando di un dato complessivo di crescita della popolazione pari a 500 mila persone in più negli ultimi dieci anni.

Si è registrato quindi nel 2014 un calo modesto, certamente da imputare alla crisi - con effetti che per altro si sono visti in ritardo rispetto alla sua evoluzione -, risultante dalla sommatoria di più fattori: spostamento di persone verso altre direttrici (soprattutto il nord Europa); qualche episodio di rientro ai paesi d'origine; cambio sostanziale, in questa fase, delle caratteristiche del processo migratorio, con il passaggio da una prevalente “migrazione economica” ad una preponderanza di profughi che fuggono da paesi in guerra e chiedono protezione internazionale.

Tuttavia, anche recenti studi confermano che il fabbisogno di immigrazione, anche nel breve-medio periodo, rimane sostanzialmente intatto: circa 200 mila sono la previsione di crescita della popolazione in Emilia Romagna. entro il 2020, in gran parte dovuta alla tenuta del processo migratorio.

E' quindi sugli elementi di strutturalità dei processi migratori e sui cambiamenti avvenuti in questi anni nella composizione sociale di questa regione che è necessario concentrarsi. Basta ricordare alcuni dati riferiti alla popolazione di origine straniera: quasi 350.000 lavoratori dipendenti; 36.000 titolari di imprese individuali; oltre 93.000 alunni frequentanti le scuole statali e non, pari al 15,3% del totale.

E così via, si potrebbero indicare molti altri dati, incluso quelli relativi all'ammontare del gettito previdenziale e fiscale dei lavoratori stranieri, che in Emilia Romagna sfiora il miliardo e mezzo di euro.

Certo, la crisi ha colpito maggiormente i migranti rispetto ai nativi, ma la stragrande maggioranza di coloro che hanno scelto di venire in queste terre ha compiuto una scelta di vita, difficilmente reversibile. Nel 2020, un quarto della popolazione con meno di 40 anni e un nato ogni tre avranno una cittadinanza diversa da quella italiana. Già oggi questo contribuisce notevolmente a rallentare un processo di invecchiamento demografico che, diversamente, assumerebbe caratteristiche ancora più preoccupanti.

Dobbiamo quindi guardare innanzitutto ai processi di integrazione sociale, al contrasto alle diverse condizioni – spesso discriminatorie – che si manifestano nel contesto sociale tra nativi e migranti, oppure tra chi è cittadino italiano e chi non lo è, anche se è nato in questo paese; ai processi di riconoscimento del valore dell'interculturalità, anche come elemento di arricchimento e crescita, sia culturale che sociale.

Molto si è fatto in questa regione, nella scuola, nelle politiche sociali, nel lavoro, ma molto rimane ancora da fare

Molto si è fatto in questa regione, nella scuola, nelle politiche sociali, nel lavoro, ma molto rimane ancora da fare. Ancora una volta le proiezioni relative ai prossimi anni ci aiutano a capire dove stanno alcune delle differenze che richiedono di essere rimosse: sempre guardando al 2020, il tasso di disoccupazione previsto per gli italiani nella fascia 15/39 è il 13%, mentre per gli stranieri il 25%; i giovani tra i 15 e 24 anni cosiddetti neet saranno il 14% tra gli italiani e il 33% tra gli stranieri; ...e così via, incluso la maggiore difficoltà per i giovani stranieri laureati a trovare un'occupazione rispetto ai ragazzi di origine italiana.

I mutamento socio-demografici intervenuti in questa regione (ma vale lo stesso per il resto del paese o per lo scenario europeo), connessi ai processi migratori, sono quindi definitivi e crescenti. Di questo, probabilmente, ancora ci si rende poco conto. C'è un ritardo di tipo culturale e politico che, anzi, vede un accentuarsi dei processi regressivi (intolleranza, razzismo, xenofobia), causando un ritardo ormai epocale nell'adeguamento della legislazione. La situazione, da questo punto di vista, è da tempo insostenibile: gli ingressi per “migrazione economica” sono di fatto impediti; la legislazione sulla cittadinanza è certamente una delle più arretrate in Europa.

Da diverse settimane l'attenzione dell'opinione pubblica è massima sul tema dei profughi che sfuggono dalle aree di guerra per venire in Europa. Come si sta gestendo questo problema, che probabilmente non si limiterà ad una fase di emergenza, in particolare nella nostra Regione?

Ormai da alcuni anni ci stiamo misurando, anche in questa regione, con una emergenza profughi sempre crescente, per dimensione e numeri.

In queste settimane i fatti gravissimi accaduti lungo la direttrice d'ingresso dei Balcani hanno determinato l'apertura di una discussione politica in Europa, riguardante il sistema di asilo dell'Unione e il Regolamento di Dublino, che neppure gli oltre 2.500 morti, dall'inizio dell'anno, nel canale di Sicilia, avevano prodotto. L'Europa ha pesantemente sbandato e non è stata sin qui in grado di arginare le pozioni dei governi nazionali (Ungheria in primis, ma non solo) che più di altri hanno messo in campo politiche inaccettabili e incivili di respingimento dei profughi provenienti da paesi in guerra.

Il sistema di accoglienza italiano è stato ridisegnato a partire dall'Accordo in sede di conferenza unificata Governo/Regioni/EE.LL del luglio 2014, parzialmente assunto nel decreto legislativo che il Governo ha emanato un anno dopo e con il quale ha dato attuazione a due Direttive UE riguardanti l'accoglienza e il riconoscimento della “protezione internazionale".

Oggi il sistema è strutturato su 3-4 livelli: prima assistenza nei luoghi di sbarco (Sicilia), Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo (Cara) o Hub regionali, centri temporanei gestiti dai Prefetti, Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (Sprar) affidato agli Enti Locali.

L'Emilia Romagna ha sperimentato per prima il nuovo sistema

L'Emilia Romagna ha sperimentato per prima il nuovo sistema. In particolare questo è avvenuto a seguito della trasformazione dell'ex Cie di Bologna nella struttura di Hub regionale, dal quale sino a poche settimane fa sono passati tutti i profughi che arrivavano in regione, per poi essere suddivisi nelle altre strutture territoriali. Questo rimane il dato politicamente più rilevante, tenuto conto delle battaglie che si sono fatte in questa regione per ottenere la chiusura dei due Centri di Identificazione ed Espulsione presenti in Emilia Romagna. Oggi si vorrebbe rimettere in discussione questa scelta, a partire dalle ultime affermazioni fatte, in particolare, dal Ministro dell'Interno.

La situazione è in rapida evoluzione e, in funzione della evoluzione degli sbarchi, rischia di travolgere il sistema. Il numero di arrivi a livello nazionale è allineato con il dato del 2014 (erano stati 170 mila). Attualmente sono 85 mila i profughi accolti nelle strutture, ma il dato cresce ogni giorno. Significa che circa la metà di queste persone sceglie di non farsi identificare in base al Regolamento di Dublino, e prosegue per altre destinazioni, verso il nord Europa.

E' la medesima situazione che registriamo in Emilia Romagna: quasi 6.000 i richiedenti asilo accolti nelle diverse strutture, ma molti di più quelli passati dall'Hub regionale. Siriani, Eritrei e Palestinesi chiedono di proseguire verso la Germania e la Svezia, mentre i provenienti dai paesi dell'Africa Sub sahariana (Mali, Nigeria, Costa d'Avorio, ecc...) e dall'Asia (Bangladesh e Pakistan) tendono a rimanere nelle strutture della regione.

Siamo quindi di fronte ad una emergenza di vastissima portata, probabilmente destinata a durare diversi anni - certamente fin tanto che non si metterà mano ad una pacificazione e normalizzazione della situazione nei paesi di provenienza -, che richiederà azioni e risorse aggiuntive rispetto a quelle fino ad ora messe in campo.

Questa regione può dare un esempio positivo, a differenza delle posizioni assunte da quelle governate dal Centro-destra. Si stanno facendo diverse cose, anche con il concorso delle parti sociali. L'ultimo atto è rappresentato dall'Accordo di collaborazione tra Regione e diversi altri soggetti, che ha come obiettivo regolamentare le attività di volontariato finalizzate all'integrazione sociale di persone inserite nell'ambito di programmi governativi di accoglienza per richiedenti protezione internazionale.

Abbiamo condiviso, insieme alle altre organizzazioni sindacali, la scelta di mettere mano a questa materia, a condizione che venisse inserita dentro una riflessione più ampia sul rafforzamento e la qualificazione del sistema di accoglienza, oltre quanto già messo in atto (assistenza sanitaria e sociale, mediazione linguistica e interculturale, inserimento scolastico dei minori, servizi per la formazione, ecc...), oltre a mettere in campo azioni più concrete sul terreno dell'inserimento sociale e, soprattutto, lavorativo (in particolare per coloro che hanno ottenuto un titolo di soggiorno per protezione internazionale), anche a partire da quanto recentemente concordato con il Patto per il Lavoro dell'Emilia Romagna.

Nelle enormi difficoltà di questa fase, soprattutto per le pericolose derive che sul piano politico si stanno manifestando in Europa e nel nostro Paese, queste sono le sfide che il movimento sindacale deve saper cogliere.