Da alcuni anni in Italia le scelte in materia di welfare e di previdenza sono state fatte passare come ineludibili, decisioni obbligate senza le quali si sarebbe andati incontro al disastro. Ma è davvero così? Oppure è possibile pensare ad un welfare del domani più giusto e universale, magari rimettendo mano anche ad una riforma delle pensioni, la famigerata Fornero, che è sempre più vissuta da lavoratrici e lavoratori come un’ingiustizia intollerabile? La risposta è che tutto è un problema di scelte, questa almeno è la chiave di lettura che è emersa dal dibattito “Il Welfare del domani”, che si è svolto domenica 14 giugno a Firenze, all’interno delle Giornate del Lavoro della Cgil.

A rispondere alle domande del giornalista Roberto Mania, di Repubblica, sono stati l’economista Michele Raitano (La Sapienza), il commissario Covip, Francesco Massicci, il commercialista Andre Dili (rappresentante dell’universo “bistrattato” delle partite Iva) la senatrice Pd Nerina Dirindin e Vera Lamonica, segretaria confederale Cgil. E il filo conduttore è stato proprio questo: un altro welfare, un welfare più giusto, è possibile perché è possibile fare delle scelte, anche in un regime di risorse sempre più stringente come quello attuale.

Partiamo dalla riforma delle pensioni, la famigerata “Fornero”: una riforma talmente tanto “virtuosa”, ha spiegato Vera Lamonica, da portare l’Italia nei prossimi anni ad essere l’unico paese europeo con i conti (rapporto Pil/spesa pensionistica) in attivo. “Ma a quale costo?”, si è chiesta la sindacalista. “Al costo di avere gli edili sulle impalcature fino a 67 anni, senza distinzione rispetto a lavori molto meno pesanti”. “Un mostruosità”, ha affermato Lamonica, una riforma che “fa a pugni con il mercato del lavoro” e al tempo stesso “produce una redistribuzione alla rovescia”, dato che favorisce chi ha redditi alti, continuità lavorativa e può permettersi di andare in pensione più tardi”, penalizzando al contrario i lavoratori più deboli. E allora, bisogna avere il coraggio di affrontare questo nodo, ha aggiunto Lamonica, “senza massimalismi, ma senza nemmeno far finta che le cose possano restare così come sono”.

E interventi sono possibili, anche con vincoli di risorse praticamente nulli, come ha osservato l’economista Michele Raitano: “Visto che la spesa previdenziale sarà in diminuzione – ha spiegato – ci sono strumenti possibili, con un impatto minimo e lontano nel tempo”, con l’obiettivo di rendere più flessibile il sistema in uscita e al contempo di dare tutele a chi oggi non ne ha.

Lavoratori discontinui, precari, ma anche autonomi e partite Iva. Un’universo, quest’ultimo, quasi sempre dimenticato, ma, oggi più che mai, in grandissima sofferenza. “C’è un enorme problema di redditi – ha osservato il commercialista Andrea Dili – se pensiamo che il reddito medio di una partita Iva è di 18mila euro. Ma con l’ultima legge di stabilità, anziché migliorare, la situazione è ulteriormente peggiorata, visto che si è andati ad aumentare la doppia imposizione sulle casse professionali”.

E allora ecco tornare la questione centrale: dove si vogliono indirizzare le risorse? “Perché per gli 80 euro e per gli sgravi contributivi alle imprese si sono trovati diversi miliardi – ha commentato Dili – quindi non si può dire che le risorse non ci sono solo quando fa comodo”.

È questione di scelte, scelte redistributive. Come potrebbe essere, ad esempio, quella di introdurre un reddito di ultima istanza (minimo, di cittadinanza, di dignità, per dirla con don Ciotti, le definizioni sono molteplici): “Il nostro paese deve senz’altro avviarsi verso qualche soluzione al problema della povertà crescente – ha osservato la senatrice Dirindin – ma intervenire è oggi molto difficile, e bisognerà essere bravi soprattutto a gestire la transizione tra i vecchi strumenti e quelli nuovi, facendo in modo che nessuno resti scoperto”.

Perché sostituire tout court le protezioni esistenti con un semplice assegno non può essere la soluzione, ha ribadito Vera Lamonica. “Quello che serve è uno strumento che affronti il problema della povertà assoluta, integrando un sostegno economico con una rete di servizi sociali alla persona. Altrimenti il risultato finale sarà solo un ridimensionamento del sistema di tutele esistenti”.

Infine, il capitolo sulla previdenza complementare. Quale ruolo per “il secondo pilastro”, anche alla luce di un mercato del lavoro che si modifica e paradossalmente vede coloro che avrebbero maggiormente bisogno di un’integrazione previdenziale (redditi bassi e discontinui) impossibilitati a costruirla, a causa delle ristrettezze dell’oggi? Una proposta molto concreta è arrivata da Francesco Massicci, commissario della Covip, commissione di vigilanza sulla previdenza complementare: “La previdenza complementare può svolgere un ruolo di accompagnamento verso l’età pensionabile – ha suggerito Massicci – Siccome un lavoratore non può arrivare a 70 anni lavorando, si potrebbero utilizzare le risorse accumulate per coprire un periodo limitato, ad esempio, tra i 60 e i 65 anni”. Una sorta di Tfr aggiuntivo pagato a rate, dunque, ma per fare questo, lo strumento della previdenza complementare, che pure in Italia ha un suo peso (circa 130 miliardi di patrimonio), dovrebbe diffondersi di più tra i lavoratori.  (Fab.Ri)