Dall'ultimo report del Ministero Giustizia, che aggiorna il monitoraggio della consistenza, destinazione ed utilizzo dei beni sequestrati o confiscati, emerge che i patrimoni mafiosi sequestrati nel Paese nello scorso 2014 raggiungono il numero di 16.748. Nell'ultimo quadriennio, il numero di questi beni registrati nella "banca dati" ministeriale e residenti in Emilia Romagna, sono esattamente 949. Mentre i "nuovi procedimenti" giudiziari di sequestro, aperti nell'ultimo anno nella circoscrizione bolognese/regionale sono ben 32, cifra che pone l'Emilia Romagna al 3° posto fra le regioni al nord del Lazio, dopo Lombardia e Piemonte.

"Numeri destinati a crescere di molto - afferma Franco Zavatti, coordinatore legalità e sicurezza della Cgil regionale - tenendo conto dei picchi conseguenti alle recenti e clamorose inchieste antimafie con radici nella nostra regione (Aemilia ed altri filoni), che hanno comportato ulteriori sequestri di beni, immobili ed imprese, per centinaia di milioni". Tuttavia, Zavatti lamenta la difficoltà a "poter monitorare con certezza ed in tempo reale" questo ingente patrimonio recuperato. Gli stessi Sindaci - osserva il sindacalista - non sono direttamente informati e coinvolti". 

E questo crea poi un "abisso" fra i numeri relativi ai sequestri e le successive confische definitive. Ancor più, considerando che solo il 3,9% dei beni viene poi "destinato", con assegnazione definitiva all'utilizzo pubblico/sociale, ai Comuni o strutture dello Stato nel territorio. "Sconcerta - insiste Zavatti - il dato che nell'ultimo quadriennio vede solamente n°156 beni "destinati" nelle regioni del Nord e...zero/nessuno nel corso del 2014".

"Purtroppo -  afferma ancora il rappresentante della Cgil - non esiste tuttora un rapporto diretto, e che dovrebbe essere naturale, fra Agenzia Nazionale dei beni sequestrati/confiscati e le istituzioni che governano il territorio, dalle Regioni ai Comuni, col conseguente coinvolgimento delle organizzazioni sociali ed economiche. Informazioni saltuarie, informali e parziali, che non responsabilizzano il territorio, che allungano i tempi e, sopratutto, che rischiano di portare al degrado gli immobili sequestrati/confiscati e non puntualmente dedicati al riutilizzo sociale; terreni coltivabili a rischio di abbandono; imprese che funzionavano "grazie" agli affari malavitosi e per l'85% fallite dopo il sequestro". 

"Occorre con urgenza affrontare le difficoltà dovute all'assenza del coinvolgimento e diretto coordinamento con le amministrazioni locali, con le principali associazioni economiche, del lavoro e del volontariato, che possono riprogettare il riutilizzo di questi beni, utili per le comunità locali e per una buona pratica di legalità - conclude Zavatti - occorre con urgenza perciò definire una sede istituzionale in Regione, capace di interloquire con ogni territorio provinciale, che abbia l'autorevolezza di avere tutti i dati, e che metta in rete attiva ciò che oggi non lo è: Agenzia dei Beni sequestrati - Regione - Prefetture - Procure - Sindaci, per poi interagire con la società civile nel territorio. Ben venga una legge che lo preveda, ma intanto una "forzatura" è possibile ed attiverà una "buona pratica" più che urgente".