Aveva ragione Filippo Turati, che nel 1895 auspicava un Primo maggio in grado di evolversi, di "ringiovanire", assumendo ogni anno "un significato e un carattere più speciali, agitando, in ogni nazione, la bandiera di quella rivendicazione che è per essa, in quel momento, la più sentita, più urgente"? … La previsione di Turati ha trovato riscontro nella realtà italiana fino a non molto tempo fa, ma oggi l’aspetto rivendicativo del Primo maggio è sostanzialmente scomparso a tutto vantaggio di quello festivo. … Eppure questo modo, diciamo così, disimpegnato di trascorrere la festività si è palesato sin dalle origini del Primo maggio, attirandosi gli strali di severi censori.

"L’opposizione alla festa (la festa come ciò che il Primo maggio non era e non doveva essere) scrive Maurizio Antonioli — diventava uno dei temi ricorrenti nella pubblicistica socialista e sindacale lungo gli anni Novanta e ancora in età giolittiana". Constatando che "in molta parte dei lavoratori italiani viene accolto il Primo maggio come una festa, un giorno di svago, di divertimento", la stampa operaia si richiamava "allo spirito e alla sostanza del deliberato del Congresso di Parigi".

Appunto a Parigi, nel luglio 1889, il Congresso operaio, costitutivo della Seconda Internazionale, aveva proclamato una giornata in cui i lavoratori di tutto il mondo avrebbero manifestato per far applicare le risoluzioni del Congresso e, in particolare, per ottenere la riduzione della giornata lavorativa a otto ore. Questo obiettivo specifico determinò la scelta della data del Primo maggio: quel giorno, nel 1886 a Chicago, una grande manifestazione operaia per le otto ore era stata repressa nel sangue.

La prima celebrazione del Primo maggio si ebbe dunque nel 1890 dopo che i lavoratori erano stati sensibilizzati sul significato di quella giornata. Leggiamo su un volantino, diffuso a Napoli il 20 aprile: "Lavoratori, ricordatevi il Primo maggio di far festa. In quel giorno gli operai di tutto il mondo, coscienti dei loro diritti, lascieranno il lavoro per provare ai padroni che, malgrado la distanza e la differenza di nazionalità, di razza e di linguaggio, i proletari sono tutti concordi nel voler migliorare la propria sorte e conquistare di fronte agli oziosi il posto che è dovuto a chi lavora. Viva la rivoluzione sociale! Viva l'Internazionale!".

Per la verità le Società operaie e i vari gruppi anarchici e socialisti non erano concordi nell'attribuire una connotazione festiva al Primo maggio e c'erano pareri diversi sul tipo di manifestazione da promuovere. La scelta delle organizzazioni proletarie era anche condizionata dalle rigide misure predisposte dal governo in un clima di allarme e di sospetto. A Milano, per esempio, prima si era deciso di non astenersi dal lavoro e di effettuare una manifestazione pubblica, ma poi, di fronte al divieto del questore di "tutte le processioni e passeggiate collettive sulle vie o piazze pubbliche", fu scelto di disertare i luoghi di lavoro. In alcune località la manifestazione venne rinviata alla domenica 4 maggio. Nel complesso, malgrado difficoltà organizzative e interventi repressi l’esordio del Primo maggio fu coronato da successo.

L’anno successivo organizzazioni operaie e autorità si prepararono meglio all’evento. Da una parte ci fu maggiore determinazione nell’esprimere la coscienza della propria forza e delle proprie rivendicazioni; dall’altra ci si attrezzò, con. arresti preventivi e drastiche misure ‘di polizia, per contenere le manifestazioni di lavoratori. Del Primo maggio 1891 restano le bellissime immagini di Giuseppe Primoli sulla manifestazione svoltasi a Roma in Piazza Santa Croce in Gerusalemme. Fu li che si verificarono gravi incidenti con alcuni morti e feriti e centinaia di arresti. Dal palco giungevano parole infuocate, che trovavano rispondenza in chi pativa le drammatiche conseguenze della disoccupazione per la crisi edilizia. Un oratore improvvisato salì sul palco: "Il popolo è affamato, il momento di agire può arrivare fin da questo momento". Gli fece eco un altro: "Bisogna incominciare i fatti. Tutto sta a prendere il momento e può essere domani, oggi, quando volete". Alcuni non ebbero dubbi: "Sì, sì oggi!". E, con l'aiuto di elementi provocatori, si scatenò il putiferio.

Il Primo maggio, che avrebbe dovuto originariamente essere una giornata destinata a non ripetersi negli anni, divenne a furor di popolo una ricorrenza fissa. Nell’agosto del 1891 il secondo congresso dell’Internazionale ne sancì infatti il carattere permanente. Negli anni successivi il Primo maggio divenne sempre più una "festa in sé", sempre meno vincolata all’obiettivo originano delle otto ore e ricettiva invece delle domande e dei bisogni, via via avvertiti dal movimento operaio. Accompagnandosi alla crescita politica e organizzativa del movimento dei lavoratori, il Primo maggio si affermava come la "data d’oro" del socialismo.

Tra Otto e Novecento non cessò mai la disputa. sul significato più autentico della festa e sul fatto stesso se si potesse o meno parlare di festa. Sia in anni difficili che in quelli più tranquilli rimase viva — come nota Antonioli — "la contraddizione, praticamente insanabile, tra caratterizzazione festiva e opposizione alla festa, contraddizione che appariva .evidente nella stampa socialista. dell’epoca. Capitava così che, nello stesso giornale, nella stessa pagina, l’uno accanto all’altro, figurassero articoli dal tono completamente diverso, con invito nell’uno a "fare del Primo maggio un giorno di festa, di vacanza, di riposo", e aperta diffida, nell’altro, "alle connotazioni festive".

Nei momenti cruciali della storia nazionale il Primo maggio rappresentò l’occasione più eclatante nella quale il movimento dei lavoratori esprimeva la sua protesta sociale e politica. Così nel 1912, di fronte all’avventura italiana in Libia, in molte zone fece la comparsa la bandiera recante la scritta "Né un soldo né un soldato / né servi né padroni". Bisogna giungere al primo dopoguerra per cogliere nella celebrazione del Primo maggio nuove caratterizzazioni, riflesso di quel clima di attesa rivoluzionaria alimentato dagli avvenimenti di Russia. E il ricordo di chi visse quei momenti è significativamente collegato all’esposizione delle bandiere, a riprova della fondamentale importanza degli aspetti rituali della festa: "C’era la falce e martello, che è saltata fuori nel 1917, con la Rivoluzione russa; ma poi c’era anche quel sole dell’avvenire, che era il sole del Primo maggio. Ecco il Primo maggio ritrovavamo quelle migliaia di bandiere, centinaia di bandiere dei circoli. Il Primo maggio aveva allora un grande significato. Intanto tutti dicevano: "L’è la nostra festa"... è la nostra festa dei lavoratori.

"Si sapeva, un po’ vagamente, che era in memoria di quelli che avevano lottato per le otto ore, i martiri di Chicago. E quindi già questo fatto era simbolico… e poi era una festa così, c’era il garofano rosso; era una manifestazione di lotta, e affluivano molti...riuniva tutti. Al Primo maggio trovavi anche gli anarchici con i loro simboli, come la conquista del pane e trovavi anche le parole d’ordine - come chi non lavora non mangia", in cui si sentiva anche l’influenza della rivoluzione russa sul nostro movimento operaio" (testimonianza dell’operaio torinese Piero Comollo).

Non va poi dimenticato che proprio il Primo maggio 1919 iniziò le pubblicazioni il settimanale gramsciano L’Ordine nuovo.

Con il fascismo al potere la festività del Primo maggio viene soppressa. A differenza di Hitler, che mantenne la ricorrenza, ovviamente snaturandola e trasformandola in una festa nazionale ufficiale del lavoro, Mussolini volle subito sradicare l’attaccamento dei lavoratori da quella data così carica di significato. Durante il ventennio la "festa del lavoro" fu fatta coincidere con la celebrazione imperiale del natale di Roma, il 21 aprile. Già nel 1923 vennero predisposte misure per scoraggiare l’astensione dal lavoro, ma furono in molti a sfidare il divieto. L’anno dopo il clima di repressione si fece ancora più soffocante e lo stesso giornale socialista Avanti! invitava a celebrare il Primo maggio "come è possibile ad ognuno". Negli anni della dittatura quella data mantenne ed anzi rafforzò tutta la carica sovversiva e furono numerosi gli episodi di antifascismo che si verificarono in occasione del i maggio.

Il Primo maggio tornò a celebrarsi nel 1945, sei giorni dopo la Liberazione, nel clima di grande esaltazione per la riacquistata libertà. Circa trent’anni dopo, nel 1974, un’analoga, felice coincidenza fu vissuta dai lavoratori portoghesi: il 25 aprile la "rivoluzione dei garofani" aveva spazzato via il regime fascista e a Lisbona, per la prima volta da 48 anni, 700.000 persone sfilarono in festante corteo per il Primo maggio.

Dal 1946 il Primo maggio assunse anche una connotazione elettorale, allorché venne a cadere alla vigilia di importanti consultazioni. Così fu già nel 1946, quando dai palchi, su cui campeggiava la suggestiva scritta "Primo maggio, primavera della democrazia", si ribadì la scelta in favore della Repubblica. Ancora nel 1953 la festa del lavoro fu caratterizzata dalla lotta alla "legge truffa". Nel 1974, con Cgil e Uil schierate sul fronte divorzista e la Cisl formalmente neutrale ma con molti suoi esponenti tra i "cattolici per il no", il Primo maggio fu un momento importante della mobilitazione in difesa della legge Fortuna Baslini.

Dopo il Primo maggio del 1947, segnato tragicamente dalla strage di Portella della Ginestra, quello del 1948 fu l’ultimo celebrato dalla Cgil unitaria. I prodromi della scissione sindacale si manifestarono proprio in occasione della festa del lavoro, che si svolse in un clima di acuta tensione dopo l’esito elettorale del 18 aprile. A Roma Giulio Pastore e altri esponenti democristiani abbandonarono il palco degli oratori, adducendo a pretesto che nella piazza c’erano troppe bandiere rosse.

Dopo gli anni della divisione le manifestazioni per il Primo maggio 1968 furono lo specchio del momento di grande trasformazione che stava attraversando la società italiana. Dedicato dalla Cgil alla solidarietà con il Vietnam quel Primo maggio vide una straordinaria partecipazione delle masse studentesche. Confluivano nelle piazze anche cortei di bambini inquadrati dai gruppuscoli marxistileninisti e che furono subito definiti i "balilla di Mao". Si apriva allora un’intensa stagione di lotte, che accelerava il processo unitario. Nel 1970 il 10 maggio poté finalmente essere celebrato insieme da Cgil, Cisl e Uil. Le manifestazioni unitarie espressero in anni difficili la volontà dei lavoratori di opporsi al terrorismo e alla violenza. La crisi dell’unità sindacale, la lacerazione in seno al movimento dei lavoratori ebbero poi puntuale riscontro nella piazza, dove si registravano ricorrenti episodi di contestazione a questo o quel dirigente sindacale. Si giunse così al 1984, quando per la prima volta dopo 14 anni, Cgil, Cisl e Uil celebrarono separatamente la festa del lavoro.

Dal 1986 le tre confederazioni hanno ripreso a celebrarla in modo unitario.

(da Rassegna sindacale n.17 del 1° maggio 1987 - Speciale 1947-1987, Portella della Ginestra, un ricordo lungo quarant'anni)