Il primo atto di prevenzione delle molestie sessuali è un atteggiamento fermo della direzione aziendale. Ed è proprio questo che manca: le imprese, infatti, non solo non informano i dipendenti sulla natura delle molestie né designano persone o servizi di aiuto per chi è oggetto di attenzioni indesiderate, ma addirittura chiudono gli occhi di fronte a comportamenti negativi (come l’esposizione di materiali pornografici o l’enunciazione di commenti offensivi sull’aspetto esteriore di colleghe e colleghi). A far emergere questa realtà è una ricerca del Coordinamento Donne della Cgil di Padova, redatta in collaborazione con il Centro Veneto Progetti Donna, realizzata mediante la somministrazione di un questionario ad hoc (strutturato in 13 domande) in circa 60 aziende del padovano.

Cominciamo l’analisi dei dati dall’informazione: il 73 per cento delle direzioni aziendali non informa i dipendenti
su cosa si debba intendere per molestie sessuali, né comunica che queste non sono tollerate in azienda (oltre a essere vietate per legge), mentre nel 16 per cento viene fatto solo in parte. Va ancora peggio per le persone in formazione, gli stagisti e i collaboratori temporanei, che vengono tenuti all’oscuro nel 91 per cento dei casi. E ancora: il 95 per cento delle imprese non ha designato persone o servizi (interni o esterni) cui le persone molestate possano rivolgersi per ottenere consigli e sostegno. Da questo deriva che soltanto il 6 per cento dei dipendenti sa dove trovare aiuto in caso di molestie sessuali (e il 36 lo sa soltanto parzialmente).

Vi sono poi tutta una serie di comportamenti che violano la parità di genere anche sotto il profilo culturale, su cui le aziende adottano un preoccupante laissez-faire. Nella maggior parte delle imprese, ad esempio, si permette ai dipendenti di esprimere commenti o raccontare barzellette su comportamenti od orientamenti sessuali: si interviene infatti, facendo smettere gli autori, solo nel 19 per cento delle aziende. Lo stesso accade per insinuazioni e commenti equivoci sull’aspetto esteriore di colleghe e colleghi, che vengono censurati solo nel 16 per cento dei casi. Una qualche attenzione, invece, si mostra all’esposizione in azienda di materiale pornografico od offensivo: nel 59 per cento delle imprese questo non accade, anche se rimane un 41 per cento in cui questo controllo non c’è o c’è solo parzialmente.

“I risultati sono poco edificanti, ed è proprio partendo da questi che lanciamo un importante progetto di contrasto alle molestie nei luoghi di lavoro” spiega la segretaria confederale della Cgil Padova Gloria Berton. Il progetto si sostanzia in “un percorso di sensibilizzazione nei settori pubblici e privati, lanciando la sottoscrizione con le aziende di un protocollo che ha come finalità la conoscenza degli strumenti normativi per far fronte a casi di molestie. Con l’obiettivo ultimo di adottare, come previsto dal codice delle pari opportunità, il codice di condotta interno”. Una sfida importante, quindi, soprattutto in “un momento di crisi economica e sociale come quello attuale, in cui le discriminazioni e le vessazioni si sono intensificate, e nello stesso tempo vengono maggiormente taciute per paura di perdere il posto di lavoro”. Il nostro obiettivo, conclude Berton, è “sconfiggere questa paura e riportare nei luoghi di lavoro i principi costituzionali di valorizzazione di genere e tutela della lavoratrice e del lavoratore nel suo ruolo e nella sua persona”.