Venerdì scorso il Consiglio dei ministri ha varato il Jobs act, “un provvedimento che non solo chiude il cerchio di vent'anni di tentativi di riduzione di diritti, portati avanti da Berlusconi prima e da Monti poi, ma che scardina il principio giuridico che fu alla base della volontà del legislatore nel 1970, quando fu approvato lo Statuto dei lavoratori. La legge 300 si basava infatti su un principio essenziale, semplice: da una parte c'è il datore di lavoro, dall'altra il lavoratore, e il datore di lavoro è enormemente più forte del lavoratore. Lo stato interviene quindi per riequilibrare questo rapporto di forza. Con il Jobs act, il governo Renzi non ha innovato, ma è ritornato a prima del 1970. Ha fatto fare un passo indietro a questo paese”. E' quanto afferma Nino Baseotto, segretario nazionale della Cgil, ai microfoni di Italia Parla su RadioArticolo1.

La Cgil, nel segno della continuità con la manifestazione nazionale del 25 ottobre scorso e lo sciopero generale del 12 dicembre con la Uil, propone ora un nuovo Statuto dei lavoratori. “Proporremo nelle prossime settimane un nuovo Statuto, e non a caso lo chiamiamo Nuovo - continua Baseotto -, perché non sarà una proposta per ripristinare quello del 1970. Sarà una proposta diversa, che guarda al lavoro di oggi e a chi lavora oggi. Pensando a quelle tutele fondamentali come la maternità, la malattia, il riposo e l'infortunio, ecc.., che vanno estese a tutti, ai lavoratori dipendenti, a quelli parasubordinati, agli atipici ma anche a tutto il lavoro autonomo. Tutto il mondo del lavoro deve poter godere delle tutele fondamentali: questo è un primo elemento che noi metteremo nella nostra proposta e che la caratterizzerà. Pensiamo a uno strumento nuovo che sappia cogliere i bisogni, i diritti e la necessità di tutela che hanno i lavoratori e le lavoratrici di oggi, nel mondo del lavoro di oggi, non in quello del passato”.

Un'altra sfida, non meno ambiziosa, riguarda la contrattazione. L'ultimo direttivo della Cgil ha deciso che il Jobs act verrà contrastato attraverso i contratti nazionali, i contratti integrativi e i contratti territoriali e sociali. “Quando parliamo di contrattazione - afferma il segretario Cgil -, ci poniamo una sfida difficile. Oggi rinnovare i contratti è un obiettivo arduo. In primo luogo perché dalle nostre controparti datoriali arrivano delle pretese assolutamente assurde, dettate spesso da un problema di scarsa rappresentanza del loro mondo. E poi anche perché sulla contrattazione ci vorrebbe una maggiore unità fra Cgil, Cisl e Uil, unità che purtroppo ancora non c'è. Ma quando diciamo che vogliamo rispondere con la contrattazione, pensiamo anche a una sfida tutta nostra. Cioè pensiamo che questa tornata contrattuale dovrà avere un segno distintivo e innovatore rispetto al passato, quello dell'inclusività. Non possiamo più immaginare rinnovi dei contratti che non guardino anche a quelli che sono normalmente esclusi. Sto pensando alle lavoratrici e ai lavoratori che non sono oggi tutelati da un contratto di lavoro, alle lavoratrici e ai lavoratori degli appalti, alle forme di lavoro non tradizionale, e così via. Abbiamo bisogno di includere queste figure, di dare loro una rappresentanza”.

“Infine - afferma ancora Baseotto - c'è il problema del Mezzogiorno. Dalla crisi esce tutta l'Italia, non esce solo un pezzo d'Italia. E' una verità banale, anche se qualche personaggio in camicia verde va in giro per il nord Italia teorizzando chimere o illusioni che non hanno nessun fondamento nella realtà. Oggi uno dei temi fondamentali per ridare un futuro all'Italia è quello di dare un futuro al Meridione. E per farlo bisogna offrire una risposta concreta al dramma della disoccupazione giovanile. Sono due corni dello stesso problema. La risposta è quella di rifondare e reimmaginare una politica di crescita e di sviluppo, non solo una politica recessiva fondata sulla privazione di diritti e sul deterioramento delle condizioni materiali e sociali delle persone in carne e ossa, che noi rappresentiamo”.