Se si pensa alla storia d’Italia non si può fare a meno di considerare il cinema come una delle sue fonti più importanti. Incrociare il cinema ai documenti, alle carte d’archivio e ai ricordi di chi ha vissuto determinate esperienze, e trovare i punti di convergenza: tutto questo può essere molto utile per ricostruire le vicende del passato. A darcene una dimostrazione è un testo, Miracoli e boom (Aliberti editore, pp. 256, euro 17,50), della giovane e bella Consuelo Balduini: un libro esperimento, alla scoperta della verità storica e sociale inseguita da Cesare Zavattini; uno studio che va dalla guerra al boom economico, dal 1943 al 1963, attraverso sette film ideati dal grande sceneggiatore insieme al suo amico e regista Vittorio De Sica.

I film, crudi e secchi o favolistici, da I bambini ci guardano e Sciuscià a Ladri di biciclette, Miracolo a Milano e Umberto D., per terminare con Il tetto e Il boom, vengono analizzati prima inserendoli nel contesto storico-sociale, poi ricostruendo le vicende della realizzazione dei singoli lavori attraverso le testimonianze e i racconti di Zavattini stesso, e infine confrontando la critica o le polemiche intorno alle pellicole.

Il libro è dedicato a una figura che tutti sanno essere tra i padri del neorealismo, e ai temi trattati nelle sue sceneggiature, che hanno un sapore amaro, perché pur lontani nel tempo sono attualissimi nel periodo di crisi che stiamo vivendo: la povertà, la mancanza di lavoro, il dramma della casa, il divario tra ricchi e poveri. La passione e lo sforzo di Zavattini “nel raccontare l’Italia così come era, perché si capisse come doveva essere”, dice Balduini, erano volti a spronare gli italiani a una presa di coscienza.

Zavattini è un intellettuale indipendente e libero, che pur ostacolato non si ferma davanti agli attacchi politici – Andreotti incita a fare film meno tristi e che diano una visione differente dell’Italia –, o alle critiche negative rivoltegli. Il suo è uno sguardo quasi documentario sulla realtà. L’obiettivo è mostrare l’ingiustizia e la mancanza di solidarietà: “Non ho mai cercato di attenuare la gravità dei fatti che secondo me dovevano essere dimostrati (…) tuttavia sento che non manca mai nei miei copioni il lievito del conforto e della speranza, che nasce fra l’altro dal prendere coscienza sia di ciò che siamo e sia di ciò che dovremmo essere. I miei personaggi hanno bisogno d’amore quant’altri mai, e addirittura lo invocano”.

Non casualmente su Ladri di biciclette scorre questa frase: “Chiunque lavora soffre combatte la dura lotta di ogni giorno sentirà che questa storia inventata può essere vera. È vera!”. “Il tentativo vero non è quello di inventare una storia che somigli alla realtà, ma di raccontare la realtà come fosse una storia”; l’arte deve sempre imitare la vita, per raccontarla nella sua verità. Così, se con Umberto D. si produce “il pedinamento della realtà”, “in favore della verità del presente – spiega l’autrice –, della freschezza e della sorpresa del gesto, di quella durata di ogni momento della vita che non ricerca le ellissi temporali del montaggio”, con Miracolo a Milano è in gioco il rapporto tra realtà e finzione. Sembra quasi che il film sia l’incontro fra i fratelli Lumière e Georges Méliès: una pellicola piena di modernità, una sorta di reazione al neorealismo. E quasi favola è la costruzione di una casa per i protagonisti del Tetto.

Con Il boom, poi, è la televisione a prendere il sopravvento nella storia. La tv per Zavattini ha un modo diretto e immediato di rendere visibile il tempo reale dell’uomo; egli vede in essa un “potenziale poetico” anche se prevede che sarà usato male. La tv sprona al consumo, la società italiana comincia a cambiare e gli italiani inseguono il miraggio di favolosi guadagni perdendo ogni consapevolezza della realtà. Uno sguardo amaro sulla società dell’apparenza, una precoce consapevolezza di una crisi che arriverà.

Zavattini è un autore orgoglioso della propria indipendenza; una figura simbolo per gli uomini di cinema che amano mettersi in discussione e sfuggono agli schemi. Ha vissuto le contraddizioni della storia, è un figlio del Novecento e ha sempre tenuto alla sua autonomia. Un uomo del suo tempo, certo, che ci ha lasciato però una lezione duratura.