Nuova audizione alla Camera, oggi, dopo il caso dei sikh dell’Agro pontino – costretti al consumo di stupefacenti per sopportare la fatica – sollevato da In Migrazione con l’indagine 2014-Doparsi per lavorare come schiavi. Ne ha parlato Radioarticolo1 nello spazio di “Work in news” con Simone Andreotti, presidente della onlus.

Prima domanda: quali le aspettative ora che le condizioni di lavoro di questa gente non sono più sconosciute?

“Quello che ci aspettiamo – ha risposto Andreotti – è un maggiore controllo del territorio: di un territorio martoriato da fatti di sfruttamento estremi, come appunto i braccianti che lavorano quindici ore al giorno, senza neanche un giorno di festa, costretti in alcuni casi a doparsi per reggere quei ritmi. L’attenzione della politica ovviamente è un segnale importante: s’inizia a ragionare intorno a una commissione sulla tratta dei braccianti. L’argomento assume così un rilievo istituzionale; e questo è fondamentale, perché permette di andare verso una innovazione della normativa”.

“Lo sfruttamento di queste comunità, in provincia di Latina e in altre parti d’Italia, trae linfa proprio dal loro isolamento funzionale e sociale, dalle grandi carenze delle istituzioni. Per i sikh non ci sono servizi, non c’è l’insegnamento della lingua italiana, non c’è assistenza se non quella garantita dal sindacato e dalle associazioni. Una comunità isolata, che non ha coscienza degli strumenti per rivendicare diritti minimi, i diritti che poi sono basilari per tutti”.

È trascorso un mese dalla pubblicazione del dossier Doparsi per lavorare come schiavi e queste sono settimane intense per il settore agricolo. Che cosa è successo intanto a Latina, nelle terre raccontate da In Migrazione?

“Qualcosa si è mosso – ha spiegato Andreotti –. Grazie ai riflettori che si sono accesi, grazie all’ottimo lavoro delle forze dell’ordine che ha portato a denunce e arresti di persone che trafficano farmaci illegali. L’azione repressiva, però, è per forza di cose una goccia in un oceano ben più vasto. Adesso serve un segnale concreto della politica e delle istituzioni locali. È evidente che di fronte a una comunità totalmente isolata, chiusa in se stessa, cui non viene dato modo d’integrarsi, è complicato per le forze dell’ordine conoscere bene il fenomeno e arrivare poi ad azioni ancora più incisive di quelle in corso. C’è una tensione mediatica che non si è spenta, che continua, e questo è importante. È il momento però di passare dalle parole ai fatti e quindi di mettere in campo servizi per l’integrazione e maggiori controlli”.

“Insieme, bisogna porsi il problema della normativa: se quella attuale garantisce chi ha il coraggio della denuncia. Perché se la persona ridotta in schiavitù non si sente protetta, portare a casa il vero risultato, la salvaguardia della dignità umana, diventa difficile”.