Da cittadini del mondo e da esseri raziocinanti ci sentiamo autenticamente interessati ai messaggi etici che provengono dalle grandi comunità religiose, segnatamente dalla Chiesa di Roma tanto radicalmente connessa alla civiltà di cui siamo partecipi. L'interesse è ravvivato dai segnali di novità che provengono dal pontificato di papa Bergoglio.

Ma le ragioni stesse che animano il nostro interesse ci provocano anche perplessità, difficoltà di comprensione verso la scelta di accomunare due papi del recente passato (Roncalli e Wojtyla) in una unica cerimonia di canonizzazione. Ovviamente la perplessità non si riferisce alla sussistenza o meno delle condizioni canoniche che motivino l'attribuzione dell'onore degli altari ai due santificati, o ad uno di essi. Questa è questione da cui non ci sentiamo coinvolti. Ma ad esprimere alcuni giudizi in quanto cittadini del mondo - appunto - ci sentiamo abilitati.

Su tre piani almeno le differenze ci sembrano troppo grandi da poter essere colmate con lo stereotipo della bontà e dello spirito di servizio verso il mondo. Innanzitutto sul terreno culturale - dottrinario. Il breve pontificato di Roncalli (5 anni) si avviò all'approssimarsi degli anni '60, dopo l'epoca della gelida conservazione del principe Pacelli. Roncalli capì che si annunciava una rivoluzione per tutta la cultura occidentale e decise di aprire le porte della Chiesa. Convocò un concilio che si sarebbe dimostrato difficile da concludere proprio per la radicalità delle aperture. Inoltre emanò l'enciclica "Pacem in terris", il cui punto focale - la distinzione in via di principio fra l'errore e l'errante - costituisce, insieme alla convocazione del concilio, la grande eredità culturale di Roncalli. Più che la bonomia dell'uomo e la semplicità dei comportamenti. Da lì, infatti, trae alimento tutta la tematica del dialogo inter-religioso e, cosa ancor più importante dal punto di vista storico e culturale, del dialogo fra credenti e non credenti.
  
Difficile invece - almeno per chi scrive - rintracciare nel pur lunghissimo pontificato di Wojtyla (27 anni) una affermazione di principio altrettanto nitida, innovativa sul piano dottrinario e carica di conseguenze sul piano dell'agire nella sfera delle relazioni umane. In quasi un trentennio nessuna delle intuizioni del Concilio venne portata ad ulteriori sviluppi teorici, né le questioni non compiutamente risolte nelle mediazioni con cui Montini aveva formalmente concluso il Vaticano II° vennero portate a più stabile definizione (vedi la questione dei "lefevriani"). In sintesi, scusandoci per la presunzione, definiremmo il pontificato di Wojtyla con i concetti di continuismo e basso profilo.

In secondo luogo ci pare significativo osservare in parallelo l'operato dei due pontefici dal punto di vista dell'impronta data alle relazioni con il mondo, con l'assetto dei poteri civili e politici.  Roncalli, in piena armonia con l'essenza del proprio pensiero e con le esperienze compiute durante la pregressa carriera diplomatica, impresse un grande vigore alle relazioni internazionali per la pace; si ricordi che visse vicende cruciali anche sul piano militare come la crisi dei missili sovietici a Cuba. Le cronache lo hanno consegnato alla storia come uno dei massimi fautori di nuove relazioni fra est e ovest, ed anche come propugnatore di una nuova temperie nel confronto politico italiano.

Da questo punto di vista anche Wojtyla portò molte novità: i grandi viaggi, un certo "terzomondismo"; tuttavia a volte la sua presenza "pastorale" è apparsa molto "esterna" alle realtà che pure andava attraversando. Forse troppo attenta a non compromettersi con esse. Si pensi alla distanza manifestamente dichiarata nei confronti della chiesa latino-americana di Oscar Romero e dei "teologi della liberazione". Inoltre merita una riflessione ulteriore il ruolo assunto da Wojtyla nella fine dei regimi comunisti dell'Europa dell'est. Positiva la spinta data ai movimenti che fecero della croce di Cristo un simbolo di libertà; nessuno può dimenticare i cancelli dei cantieri navali di Danzica. Ma non può sfuggire nemmeno che quelle società sono oggi fra le più nichiliste ed immorali. Nessuno potrebbe imputare tale deriva all'influenza della Chiesa, ma forse per tutti i protagonisti di
quella storica vicenda, nessuno escluso, c'è qualcosa su cui riflettere ancora. Infine, con il massimo rispetto per una grande comunità a cui non ci sentiamo di appartenere, vorremmo esprimere qualche pensiero anche sull'operato dei due pontefici nel governo della vita interna della chiesa.

Insediatosi sulla cattedra di Pietro, Roncalli operò subito per allargare la selezionata e troppo ristretta oligarchia di cui papa Pacelli si era circondato. In meno di cinque anni nominò più di cinquanta cardinali e, come noto e mai abbastanza evidenziato, decise la convocazione del concilio anche contro la malcelata opposizione di molti circoli conservatori interni che temevano la destabilizzazione della chiesa in quanto comunità organizzata e gerarchica.

Wojtyla invece sedette sul soglio pontificio, non si dimentichi, per quasi un trentennio durante il quale si consolidarono (per molti aspetti è appropriato dire: si incancrenirono) molti dei gruppi di potere con cui si sta oggi duramente confrontando - la cosa è del tutto evidente - papa Bergoglio. Già Ratzinger aveva verificato la resistenza di molte lobbies interne alla curia romana, giungendo a prendere atto, con le dimissioni, di non possedere le energie sufficienti per compiere le innovazioni necessarie. Ma come non considerare che molte di quelle sedimentazioni venivano dai decenni precedenti, quelli del papa polacco?

Ecco perché, da osservatori esterni autenticamente interessati, convinti che il mondo abbia necessità di cattedre morali limpide e autorevoli, non ci pare sia stata una buona idea quella di accomunare nei riti della canonizzazione Roncalli e Wojtyla. D'altronde, se non abbiamo frainteso alcune informazioni pur diffuse da fonti autorevoli, anche eminenti uomini di chiesa hanno manifestato perplessità. Ci riferiamo a Carlo Maria Martini, per non dire di Hans Kung.