Una legge per tutelare i lavoratori delle aziende confiscate alla mafia e per l’emersione della legalità. L’iniziativa è stata presentata oggi, 4 dicembre, a Palermo dagli esponenti siciliani del comitato promotore, Cgil, Libera, Arci, Anm, Legacoop, Avviso pubblico e Centro Pio La Torre che hanno lanciato una raccolta di firme su scala nazionale fino al 3 giugno dell'anno prossimo. Solo in Sicilia l’obiettivo è di 40 mila sottoscrizioni e in questi sei mesi saranno tante le iniziative di sensibilizzazione sul tema messe in campo.

Il ddl di iniziativa popolare punta a colmare le lacune dell’attuale legislazione e a rimuovere gli ostacoli che impediscono la sopravvivenza sul mercato delle aziende “bonificate”, tra cui i lunghi tempi di riassegnazione. Si parte da da un dato: il 90% delle aziende confiscate alle mafie fallisce. Sono 1.636 su tutto il territorio nazionale, di cui oltre un terzo in Sicilia, e i lavoratori coinvolti finiscono licenziati (si stima circa 70mila persone), Ma secondo la modifica della normativa targata Fornero, non possono neanche usufruire di ammortizzatori sociali. A questi numeri si aggiungono quelli delle imprese sequestrate.

“Bisogna dare il segno con forza - ha detto Antonio Riolo, segretario Cgil Sicilia - del fatto che lo Stato c'è e attraverso lo Stato si lavora e si produce nella legalità. L’obiettivo è riattivare i canali della legalità economica e tutelare i lavoratori, restituire i patrimoni mafiosi alla collettività e garantire e dare dignità al lavoro”. E per fare questo, secondo i promotori del ddl, occorre fare sì che le imprese possano sopravvivere e i lavoratori continuare a lavorare.

Tra le proposte del ddl, ha sottolineato Francesco Cantafia, della Cgil Sicilia, "la creazione di un fondo ad hoc per garantire linee di credito concesse dalle banche fino al giorno prima del sequestro ma poi negate”. C'è anche la premialità fiscale per chi investe in queste aziende, oltre al reinvestimento delle liquidità sequestrare e confiscate per garantire ai lavoratori gli ammortizzatori sociali in attesa del rilancio delle aziende.

Viene poi affrontato il capitolo della formazione e della creazione di una cabina di regia (un ufficio attività produttive presso l’agenzia dei beni confiscati) per la massima trasparenza di tutti i processi che, ha detto Vito Lo Monaco, del centro Pio La Torre, “vanno seguiti non secondo una visione di mera contabilità ma di immediato riuso sociale, sapendo che anche attraverso questa strada si misura lo spessore antimafia dei governi”.

Della necessità di allargare il fronte delle adesioni all’iniziativa ha parlato Umberto Di Maggio, di Libera, del ruolo delle coop, Filippo Parrino, e Calogero Parisi, dell’Arci della volontà di fare vivere l’iniziativa in quanti più contesti. La segretaria della Cgil di Trapani, Mimma Argurio, ha invece sollevato la necessità di selezionare gli amministratori giudiziari, “con le dovute eccezioni, oggi manager sottocosto - ha detto - che disconoscono le relazioni sindacali e hanno come unico obiettivo quello di fare business”. Oggi il 45% delle imprese confiscate è del settore terziario, il 27% dell’edilizia, “segno - ha rilevato Cantafia - che la mafia si concentra dove c'è liquidità, per rimettere in circolo ripulendolo il denaro sporco”.