“Piombino non deve chiudere”. Lo slogan risuona ormai da mesi tra le strade della cittadina toscana, che lunedì 19 ha visto sfilare il più grande corteo degli ultimi venti anni. Oltre 10.000 persone sono scese in piazza nell’ennesima giornata di mobilitazione in difesa dell’industrie siderurgiche piombinesi. Questa volta a mobilitarsi non sono stati solo gli operai, ma l’intera città, con cittadini, negozianti e studenti uniti a difendere il lavoro.

La giornata è iniziata nella prima mattinata,
quando un corteo di più di un migliaio di studenti superiori ha sfilato per le vie di Piombino sotto lo slogan “Per una Val di Cornia retta dalla nostra industria”. Al termine del percorso, il corteo si è riunito in assemblea e dopo gli interventi di studenti, operai e rappresentanti sindacali si è dato appuntamento alle 17 al cavalcavia Lucchini.

Per il pomeriggio i sindacati Fim, Fiom e Uilm di Cgil, Cisl e Uil avevano indetto uno sciopero generale di tre ore, dalle 17 alle 20, invitando anche negozianti e supermercati a chiudere e unirsi allo sciopero.   E così per tre ore la città si è fermata, mentre un interminabile corteo ha sfilato per le vie del centro, fermandosi poi in piazza Verdi, dove alle 19 si sono spente tutte le luci e sono state accese migliaia di fiaccole e lumini.

“Un’intera città si spenge e solo il lavoro può riaccenderla - spiegano i sindacati Fim, Fiom Uilm e Rsu Lucchini e Magona  -. Con l'acciaio fabbrichiamo le rotaie, i tondini del cemento delle nostre case, le billette per alcuni pezzi delle nostre auto, le bramme per la fabbricazione di lamiere. Vogliamo continuare a produrre e lavorare questo materiale riciclabile al 100%” proseguono i sindacati “invece stanno facendo di tutto per chiudere le nostre fabbriche e cancellare la nostra dignità, dei nostri figli e dell’intero comprensorio. Per Piombino le fabbriche rappresentano un patrimonio industriale che da lavoro ad oltre 5000 famiglie. I nostri padri e nonni hanno rialzato la testa nel dopoguerra e dopo i licenziamenti del 1953. Non possiamo mollare. Noi vogliamo e dobbiamo salvare un territorio ma anche un prodotto strategico della Toscana e dell’Italia”.

Lo sciopero arriva in una settimana decisiva
per le vicende Lucchini. Il Cda ha rifiutato l’ipotesi del commissariamento per andare a scoprire l’offerta che il Fondo Klesch si è impegnata a fare entro il mese. Il polo siderurgico piombinese è considerato strategico visto il suo accesso diretto al mare, ma il macigno del debito di quasi un miliardo di euro in mano alle banche ha scoraggiato molti gruppi interessati. Se l’offerta svizzera non sarà adeguata, l’intervento del governo nazionale sarà inevitabile, prima che sia troppo tardi e che scoppi un nuovo caso come quello di Taranto.

L’assessore alle attività produttive della Toscana
Gianfranco Simoncini, presente alla manifestazione, ha annunciato che il presidente Enrico Rossi ha convocato per il 3 dicembre una riunione del tavolo regionale sulla vertenza. “La situazione di stallo va superata” afferma “o la Lucchini finirà in un vicolo cieco. Occorre individuare un soggetto che garantisca un futuro industriale all’azienda. Piombino e la Toscana faranno fino in fondo la loro parte, ma questa è una questione per la quale il Governo nazionale deve mettere in campo tutto il suo peso”.

La giornata di lunedì è stata il culmine di una serie
di giornate di mobilitazione a sostegno del polo siderurgico che si sono succedute negli ultimi mesi e che hanno interessato l’intera città, sempre solidale con il destino della fabbrica.

'Una grande manifestazione civile e responsabile
che dimostra come Piombino sia fatta di gente seria. Sono fiero della mia città e questo mi responsabilizza ulteriormente', ha detto a margine della manifestazione il sindaco Gianni Anselmi, che già un mese fa era salito sul tetto della fabbrica a fianco degli operai.