L'Imu si conferma essere “una tassa iniqua per l'incidenza maggiore che ha sui redditi più bassi” e che “rischia di acuire il disagio abitativo” soprattutto “in assenza di misure che tutelino gli inquilini”. E' quanto denuncia la Cgil alla luce di alcune stime effettuate, considerando i valori medi di un'abitazione di categoria C2, da dove risulta che a pagare l’Imu più alta saranno i proprietari di Roma (820 euro), Milano (615), Torino (560), Bologna (520). Dati che, per la Cgil, “vanno letti contestualmente a quelli relativi ai redditi: nel nostro paese il 72% dei proprietari di abitazione dichiara ai fini Irpef un reddito complessivo inferiore a 26 mila euro; in questa fascia ricade il 61,6% dei lavoratori dipendenti, l’81,6 dei pensionati”.

Invece, per quanto riguarda le seconde case, dove l'aliquota è stata portata al massimo dell'1,06%, la Cgil e il Sunia osservano che “sono possibili diminuzioni per alcune tipologie e, in seguito a nostre rivendicazioni, per immobili dati in affitto a canale concordato”. Il risultato, quindi, “è senz'altro positivo, ma non sufficiente a scongiurare un possibile acuirsi del disagio abitativo e del dramma degli sfratti, visto spesso lo scarso scarto tra le aliquote per canale libero e concordato”. Infatti, osserva il sindacato, “in assenza di misure che tutelino gli inquilini, indispensabili per soggetti che non hanno possibilità di negoziazione dei canoni”, potrebbero verificarsi aumenti dei canoni che la Cgil stima attorno al 20%. Senza dimenticare che “il fondo di sostegno all'affitto viene cancellato dalla legge di stabilità, mentre sono state 350 mila le domande presentate nell'ultimo bando emesso dai Comuni ad alta tensione abitativa, di cui solo il 25% ha usufruito di un contributo”.

Il non rifinanziamento del fondo, poi, secondo la Cgil, “va letto contestualmente al dato degli sfratti per morosità: dal trend dell'ultimo periodo, 250 mila sfratti, di cui il 90% per morosità, sono attesi per i prossimi tre anni”. Mancano, dunque, degli strumenti di politica abitativa. “Al contrario, le recenti misure, oltre a colpire indistintamente i redditi, non hanno agito nella direzione di incentivare strumenti per calmierare il mercato degli affitti: già la cedolare secca, stabilendo le aliquote al 21% per il canale libero e al 19 per il canale concordato, ha reso indifferente per un proprietario la scelta tra le due tipologie contrattuali, annullando qualsiasi convenienza per il canale concordato”. Ecco perché con l'Imu, conclude la Cgil, “si prospettano ulteriori conseguenze per il mercato abitativo”.